Abstract
Il saggio prende in esame le implicazioni estetiche e politiche della “svolta partecipativa” nell’arte contemporanea, analizzando la comparsa di due modalità di partecipazione all’interno del mondo istituzionale dell’arte nel corso degli anni Novanta. La prima variante, associata a Nicolas Bourriaud, si impegna nella creazione di interazioni conviviali e non gerarchiche all’interno degli spazi del mondo dell’arte. Il secondo paradigma, sostenuto da Claire Bishop, è legato a pratiche che evocano un “dissenso” terapeutico negli spettatori attraverso varie forme di provocazione. In entrambi i casi, questi progetti implicano una relazione temporale sfalsata rispetto alla trasformazione politica, prefigurativa nel primo caso, simile a una sineddoche nel secondo (l’assalto cognitivo nei confronti dello spettatore imiterebbe la violenza fisica della rivoluzione). Entrambi gli approcci sono radicati in una serie di ipotesi formulate a priori all’interno della cornice dell’avanguardia modernista, secondo la quale il cambiamento politico effettivo sarebbe impossibile a causa del controllo egemonico esercitato dal sistema capitalistico. Di conseguenza, il mondo dell’arte offrirebbe l’unico spazio all’interno del quale può essere preservata una forma significativa di criticità politica.