«L’idealismo tedesco è stato considerato come la teoria della Rivoluzione francese», poiché Kant, Fichte, Schelling e Hegel rappresentarono con i loro sistemi filosofici «una risposta alla sfida da parte della Francia di riconoscere lo stato e la società su una base razionale, così che le istituzioni sociali e politiche potessero essere in armonia con la libertà e gli interessi dell’individuo»[1]. Inizia così il celebre libro di Marcuse, Ragione e rivoluzione, in cui l’autore mostra come la filosofia hegeliana, che aveva osato sottomettere la realtà ai principi della ragione e ambiva a riorganizzare l’ordine esistente, conduce a sviluppare la filosofia in «teoria sociale», proprio in quanto con Hegel «la società divenne l’argomento centrale di un nuovo interesse teorico»[2]. In quegli stessi anni Lukács, nella sua ricostruzione del giovane Hegel, afferma che «la storia della genesi della filosofia hegeliana pone nello stesso tempo quei grandi problemi storici attraverso i quali si è formata la base generale dello sviluppo della filosofia classica tedesca», sottolineando «l’influsso dei grandi eventi politico-sociali» di quel periodo e mettendo in luce il nesso fra «filosofia e comprensione teorica dei fenomeni sociali»: la dialettica idealistica è quindi precisamente una «grandiosa concezione della dialettica della società umana» dal momento che «la ragione è negli stessi rapporti sociali e nel loro sviluppo»[3].
Il periodo in cui i principali rappresentanti dell’idealismo tedesco si ritrovano intorno allo stesso spirito culturale e a un comune milieu intellettuale corrisponde un momento decisivo della storia dell’Europa. Sono gli anni di un mondo a cavallo tra restaurazione e rivoluzione, attraversati da grandi eventi storico-politici e da profondi cambiamenti economici, scientifici e sociali che costituiscono l’orizzonte entro cui tale movimento filosofico prende vita. Punto di partenza comune è l’illuminismo, in particolare la sua ricezione tedesca, e ciascuno a modo suo si distingue come spettatore niente affatto passivo della propria epoca: l’intera generazione non solo non fu indifferente al suo tempo, ma ha avuto l’ambizione di comprenderlo attraverso la propria filosofia[4], che, a dispetto dell’etichetta con cui la storiografia è solita definirla, si caratterizza per un lucido realismo e rende i protagonisti di questa fase della storia del pensiero occidentale come «attori impegnati», volti a interrogare e mettere in evidenza le contraddizioni del proprio tempo e a prender parte ai cambiamenti che avvenivano sotto i loro occhi, primo fra tutti la caduta dell’Ancien Régime[5]. Come testimonia Il più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco, tali autori sono uniti da una comunanza di intenti e da una sensibilità politico-filosofica orientata verso il nuovo e pronta a rompere con il vecchio mondo. Se con l’idealismo tedesco il sociale assume un ruolo di primo piano il motivo è che la filosofia si caratterizza innanzitutto in quanto filosofia pratica, in virtù di una nuova «mitologia della ragione», tesa al rinnovamento etico, spirituale e politico dell’umanità, capace di rispondere ai bisogni della vita, volta alla realizzazione della libertà in opposizione al meccanicismo statuale.
Tra i rappresentanti della filosofia classica tedesca il nome che più di tutti è associato alla questione sociale è senza dubbio Hegel – a cui non a caso è dedicata la maggior parte dei contributi di questo volume e del seguente – in quanto egli ha delineato, come nessuno prima di allora, i tratti della bürgerliche Gesellschaft. È infatti uno dei più importanti interpreti del pensiero hegelo-marxista, Domenico Losurdo, ad aver affermato a proposito dei corsi di filosofia del diritto pubblicati negli ultimi decenni, che «il tema che emerge con maggior forza, e con maggior ricchezza di particolari e di novità […] è la questione sociale intesa nella sua accezione più ampia», mostrando pertanto che la concezione del filosofo è «da questo punto di vista tutt’altro che idealista»[6].
Con l’espressione “questione sociale” si intende in primo luogo tutto ciò che pertiene alla società civile come sistema dei bisogni e alle contraddizioni che essa ingenera: dall’introduzione delle macchine alla parcellizzazione del lavoro, da fenomeni di astrazione e alienazione dell’operaio alla crisi di sovrapproduzione, dal benessere alla genesi della plebe, dal Notrecht alla nascita di soggetti collettivi come le corporazioni e le società mutualistiche. La prima accezione di una “questione sociale” deve pertanto iscriversi sul terreno dell’economia politica, in quanto Hegel diagnostica, come sottolinea Bourdin, un fenomeno storicamente nuovo legato alla modernità, e in particolare alla modernità del lavoro, che conferisce alla società un volto potenzialmente inumano[7]. È lo stesso Hegel in fondo ad affermare che «l’importante questione di come si debba sovvenire alla povertà è una questione che muove e tormenta segnatamente le società moderne»[8].
Il rapporto fra la filosofia classica tedesca e la struttura sociale e politica della Germania, in particolare la rivoluzione industriale e l’emergere della società capitalista, ha impegnato numerosi interpreti che, soprattutto nel corso del secolo scorso, hanno messo in risalto le contraddizioni della società civile così come sono state analizzate da Hegel. In questo contesto è la ricezione marxista che ha contribuito maggiormente a delineare Hegel quale teorico della società borghese, il quale, indipendentemente dalle aspre critiche che gli sono state rivolte da Marx in poi, avrebbe messo in luce il ruolo che l’economia politica ricopre nella filosofia, avrebbe meglio di chiunque altro colto l’essenza del lavoro e dell’alienazione, nonché tratteggiato le conseguenze della struttura economica sul terreno dei rapporti sociali e sulla condizione di ciò che sarebbe stato il proletariato. Per decenni la discussione intorno ai rappresentanti della filosofia tedesca tra XVIII e XIX secolo si è intrecciata, nel bene o nel male, con quella del marxismo e ciò ha avuto l’effetto di far emergere come al centro di quei pensatori fosse già presente la “questione sociale”, che emerge proprio alla luce dell’insieme dei problemi posti dalla società moderna e delle misure prese per ovviare e risolvere tali difficoltà, tenuto conto degli effetti sociali prodotti dall’economia. Non è un caso infatti che secondo Gramsci «la filosofia della praxis» sia «nata sul terreno del massimo sviluppo della cultura della prima metà del secolo XIX, cultura rappresentata dalla filosofia classica tedesca, dall’economia classica inglese, e dalla letteratura e pratica politica francese»[9].
Nel corso degli ultimi decenni gli studi sull’idealismo tedesco hanno vissuto nuovamente una fase felice a partire da quel movimento che negli anni Settanta ha promosso una Rehabilitierung der praktische Philosophie, il cui effetto è stato dar luogo a una Renaissance del pensiero kantiano e di quello hegeliano tutt’oggi ancora in corso: dalla teoria della giustizia al problema del fondamento della morale, la rinnovata attenzione nei confronti della filosofia kantiana si svolge sul terreno dell’etica normativa o della teoria dell’azione e si distingue per un’interpretazione costruttivista dell’autore della Metafisica dei costumi, mentre la filosofia politica di Hegel è stata oggetto di una «attualizzazione» alla luce di un’interpretazione post-metafisica[10]. In quest’ottica, come è noto, l’ultima generazione della Scuola di Francoforte ha individuato in Fichte e in Hegel i referenti per una teoria del riconoscimento intersoggettivo, paradigma di una teoria critica della società, mentre in ambito americano Hegel ha avuto un ruolo importante nell’ambito dell’ontologia sociale fino ad esser protagonista di quel filone di studi di matrice analitica e pragmatista che si caratterizza per la tesi della socialità della ragione. Attraverso una lettura che evidenzia la continuità fra Kant e Hegel e considera l’operazione di quest’ultimo come una radicalizzazione delle tesi del primo, da Rorty a Brandom il dibattito contemporaneo ha riscoperto, come enuncia il titolo di un recente libro di Pippin, «l’attualità dell’idealismo tedesco»[11], nella convinzione che alcune problematiche teoriche e pratiche di oggi possano essere illuminate dallo studio e dalla ripresa degli autori di quegli anni.
Il presente numero si inscrive all’interno di questa costellazione, mirando ad attraversare prospettive e approcci che concorrono a rinnovare la riflessione intorno alla questione sociale. L’obiettivo non è stabilire cosa è vivo o cosa è morto dell’idealismo tedesco, ma piuttosto mobilitare alcune categorie per interrogare il nostro presente, capire da dove veniamo e cosa ne è di quel progetto – incompiuto o già fallito – che è la modernità. La domanda di fondo concerne allora la possibilità per la filosofia di comprendere le dinamiche in atto nella società senza accontentarsi di un esame empirico, ma con l’ambizione di poter individuare la ragione all’opera nei processi storico-sociali e di non cedere alla déraison, ovvero all’assoluta irrazionalità e l’insensatezza del reale. Dal punto di vista interpretativo, l’orientamento del volume riposa pertanto sulle letture che hanno definitivamente preso le distanze da una visione dell’idealismo tedesco come panlogismo, conservatorismo o quietismo politico per mettere in luce un ritratto di questi autori come teorici della libertà e sostenitori dell’emancipazione, studiosi delle istituzioni moderne ed esploratori della condizione umana.
Senza avere la pretesa di sostenere una tesi ermeneutica, obiettivo di questo numero è indagare il sociale in senso lato, oltre l’economico e al di là di un luogo circoscritto, frapposto fra il privato e il pubblico. Parafrasando Dewey, potremmo dire che si intende analizzare il sociale senza identificarlo necessariamente con la società, giacché esso non è solo un livello specifico dell’organizzazione statale, ma l’espressione di molteplici fattori – economici e giuridici, ma anche politici, religiosi, culturali, identitari – che concorrono a vario titolo all’individualizzazione e alla socializzazione degli individui. Come afferma Fischbach, «se bisogna distinguere tra il sociale da un lato e la società dall’altra è perché la società è, allo stesso titolo della famiglia e dello stato, un sotto-sistema del sociale, nel senso in cui la famiglia, la società civile e lo stato sono esemplificazioni di ciò che Hegel chiama la Sittlichkeit», tanto che quest’ultima possiederebbe, secondo l’autore, il senso di ciò che chiamiamo oggi «il sociale» o «la vita sociale in quanto tale»[12]. Pensare filosoficamente il sociale significherebbe allora, a differenza delle scienze sociali, intrecciare normatività e descrizione, teoria e prassi, comprensione dell’esistente e critica di quello stesso dato.
In questo senso presupposto implicito di una riflessione sulla questione sociale è la netta presa di distanza dall’individualismo metodologico, che coincide con una concezione astratta della libertà e atomistica della collettività: a differenza del contrattualismo e del liberalismo, si tratta di prendere le mosse non solo dal fatto che gli individui sono naturalmente sociali, ma che vi è tra essi e la società un rapporto di appartenenza tale che il sociale concorre a strutturare l’identità del soggetto moderno e la sua autocoscienza riflessiva, nonché a formare le rappresentazioni e concezioni di un individuo proprio in quanto esso è parte integrante di una struttura sociale. Punto di partenza non è allora l’individuo isolato, ma le concrete relazioni sociali e la complessa compagine istituzionale entro cui l’uomo prende coscienza di sé e conduce la sua vita. Non solo la natura degli esseri umani è sociale, ma la totalità sociale costituisce l’ambiente naturale abitato dall’uomo, che rende possibile un’esistenza libera e razionale e che è al tempo stesso attraversato da dinamiche di potere, prevede meccanismi di riproduzione, opera tramite norme immanenti, giuridiche o morali, e genera forme di alienazione. Possiamo pertanto affermare che lo spazio sociale assume le caratteristiche, oggi forse più che mai, di una seconda natura: in un senso ben più radicale e profondo di quanto già noto ad Aristotele, l’umano è essenzialmente inscritto in una serie di rapporti economici, culturali, politici, nonché istituzionali. Aver pensato l’umano a partire da questa concretezza, necessariamente storica, non è certo parte trascurabile del mutamento di paradigma introdotto dall’idealismo tedesco.
Tale prospettiva rappresenta uno dei più importanti lasciti dell’idealismo tedesco, tanto che, come sembra suggerire Engels, «punto di approdo della filosofia classica tedesca»[13] è la tesi marxiana per cui non esiste l’uomo in astratto, ma l’individuo è reso tale dalla società storica in cui vive: una volta maturata la consapevolezza che l’essenza dell’uomo non è un dato fisso e indisponibile, ma è mutabile e soggetta a trasformazioni, ovvero che nella sua realtà «l’essere umano è l’insieme dei rapporti sociali», la filosofia non potrà di conseguenza che interrogarsi sul senso di un’ontologia dell’essere storico-sociale.
Interiorizzare la lezione dell’idealismo tedesco significa allora innanzitutto, prendere le mosse dalla distinzione fra società civile e stato, la quale rappresenta uno dei pilastri della modernità, ma al tempo stesso andare oltre una netta separazione, in un mondo che si confronta con la difficoltà di delineare la fisionomia dello stato e che vede emergere in primo piano un concetto inedito come quello di società civile globale. Al contrario, se i confini di ciò che siamo soliti chiamare sociale sono difficili da marcare con un tratto netto, in quanto esso tracima continuamente in altri ambiti, la filosofia classica tedesca può forse farci fare un passo indietro e permette di interrogarci su cosa vuol dire essere attori sociali e cittadini del mondo. Davanti alla profonda crisi dello stato-nazione – almeno nella struttura che ha dominato il secolo scorso e che all’epoca di Fichte e Schelling si andava ancora costruendo – riflettere sulle forme della politica vuol dire in primo luogo soffermarsi sul rapporto fra sociale e politico e sulla loro articolazione, in quanto il potere politico non può più essere calato dall’alto, ma al contrario si delinea a partire dall’anatomia della società civile, dalle sue dinamiche e dai suoi conflitti.
Discutere oggi cosa si intende per “questione sociale” significa dunque mettere in luce la tensione fra autonomia e dipendenza reciproca, la relazione fra desiderio e soddisfacimento del bisogno, così come implica prendere atto del fatto che le rivendicazioni materiali volte alla redistribuzione e all’uguaglianza non possono essere scisse da richieste di riconoscimento culturali e simboliche. Una tale questione chiama in causa altresì il rapporto fra natura e spirito, lo statuto della libertà e la sua traduzione in diritti universali, individuali o collettivi, il ruolo della cultura e dell’educazione, le condizioni del lavoro e le caratteristiche del mercato, fino allo spinoso tema della costituzione di un popolo e della sua rappresentazione. Da questo punto di vista, il principale insegnamento che possiamo trarre dalla filosofia classica tedesca riguarda il legame fra la teoria e la prassi, fra le modalità di conoscenza e le condizioni dell’agire, fra l’analisi speculativa e l’azione politica, in quanto la realtà sociale può e deve essere conosciuta, giustificata – financo trasformata – a partire dai principi di una ragione che non è pertanto solo soggettiva, ma che si incarna nel mondo.
***
Questo volume costituisce il primo di due tomi monografici che la rivista ha deciso di dedicare all’«Idealismo tedesco e la questione sociale» e sarà pertanto seguito da un numero che approfondirà e svilupperà ulteriormente una tema così ricco e variegato, sia per quanto riguarda gli autori coinvolti che per il dibattito che solleva. In questa prima parte sono raccolti i contributi che si concentrano da un punto di vista storico-filosofico direttamente sull’idealismo tedesco, cosicché, per quanto Hegel sia l’autore di riferimento principale, gli articoli coprono lo spettro che va da Kant a Marx, dedicandosi in alcuni casi anche a Fichte e a Schelling.
Per la prima volta, la rivista ha deciso di pubblicare saggi non solo in lunga italiana, includendo altresì contributi in inglese, francese e tedesco. Tale scelta nasce dal desiderio di aprirsi al panorama europeo e non solo e dunque di uscire dai confini nazionali, al fine di poter presentare i risultati delle ricerche svolte da studiose e studiosi di altre nazionalità, nella convinzione che nel mondo contemporaneo le frontiere debbano essere abbattute e che la comunità scientifica possa diventare il più ampia e inclusiva possibile, aperta allo scambio e al dibattito tra prospettive di ricerca variegate, culture eterogenee e lingue differenti.
Il volume si apre con un saggio di Domenico Losurdo, ripubblicato come omaggio a uno dei più importanti studiosi italiani della filosofia classica tedesca recentemente scomparso, il quale ha rappresentato per la nostra rivista, nel corso degli anni, un punto di riferimento e di arricchimento continuo. Nel suo articolo, Losurdo ritorna sulle categorie di idealismo e materialismo, definendo i caratteri di un’ontologia dell’essere sociale di matrice lukácsiana e sottolineando il contributo che Hegel e Marx hanno, in modo diverso, portato all’indagine dell’oggettività sociale e della filosofia della storia.
La definizione della storia come processo è oggetto del secondo articolo del numero, nel quale l’autore, Emmanuel Renault, mette a confronto la concezione hegeliana e quella kantiana di filosofia della storia. Attraverso la discussione del saggio Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo? e della sua interpretazione da parte di Foucault, Renault affronta il tema della Bildung e del suo rapporto con la Kultur, toccando il cuore teorico e politico di ciò che ha rappresentato l’Aufklärung tedesco in quanto orizzonte entro cui si sviluppa l’intera riflessione dell’idealismo tedesco.
La sezione Figure ospita due saggi che si concentrano sul tema della responsabilità e dell’imputazione a partire dal capitolo sulla moralità dei Lineamenti di filosofia del diritto di Hegel. Marmasse presenta un’attenta analisi dell’azione quale momento di interiorizzazione della decisione da parte dell’agente e delle sue conseguenze, affrontando la questione dell’intenzionalità dell’agire attraverso il riferimento a Antigone e Oreste. Giulia Battistoni approfondisce invece la nozione hegeliana di Tat facendo riferimento alle letture del giurista Karl Larenz e del filosofo Mark Alznauer e al concetto di Zweck così come è esposto nella sezione «Teleologia» della Scienza della logica, allo scopo di interrogarsi sugli standard normativi riconosciuti come leggi razionali e come criteri per giudicare l’agire nello spazio sociale.
La sezione Prospettive include quattro contributi che si concentrano sui principali rappresentanti dell’idealismo tedesco al di là di Hegel o che affrontano la questione sociale alla luce di uno sguardo più ampio, che tocca tematiche di estetica, di filosofia del linguaggio o di teoria politica. Se Simone Tarli dedica il suo articolo al ruolo dell’intuizione estetica nella filosofia di Schelling, focalizzandosi in particolare sugli ultimi due paragrafi del System des transzendentalen Idealismus, David Sommer prende in esame la concezione che definisce sociale della ragione di Fichte, confrontando il suo saggio Sulla capacità scientifica e sull’origine del linguaggio con alcuni precedenti trattati di Condillac e Herder. È uno dei testi meno conosciuti di Hegel ad essere oggetto del contributo di Nane Cantatore, la Propedeutica filosofica, che l’autore interpreta attraverso la nozione di Bildung come l’elaborazione di un modello di cittadinanza nello stato. Da tutt’altra prospettiva Guillaume Durieux si concentra inoltre sulla critica hegeliana della volontà generale di Rousseau al fine di far emergere affinità e differenze fra i due pensatori: al di là della presa di distanza da parte di Hegel nei confronti del contrattualismo, l’autore si interroga sulle condizioni di un realismo ontologico del corpo politico e sull’autonomia del politico rispetto al sociale.
Il saggio di Lea Ypi, pubblicato qui in traduzione italiana nella sezione Materiali, è dedicato alla critica della religione in Kant e Marx e mette in rilievo le affinità fra i due pensatori, in particolare rispetto all’emancipazione umana, alla realizzazione della libertà e al ruolo della comunità politica.
[1] H. Marcuse, Ragione e rivoluzione, Il Mulino, Bologna 1954, p. 19.
[3] G. Lukács, Il giovane Hegel e i problemi della società capitalista, Einaudi, Torino 1960, pp. 14-24.
[4] Per citare un arcinoto passaggio hegeliano, «la filosofia è il proprio tempo appreso in pensieri» (Lineamenti di filosofia del diritto, trad. it. di G. Marini, Laterza, Roma-Bari 2004, p. 15): qui sta tanto l’urgenza del presente quanto la consapevolezza della sua storicità, quanto la definizione di un compito che si colloca nello spazio tra il dettaglio finitimo dell’esperienza individuale e l’universalità astratta delle categorie eterne. In questa sintesi del concreto, che pone la filosofia nel tempo e, con ciò, anche nel pensiero, si può trovare tutta la novità e la fecondità della prospettiva dell’idealismo tedesco.
[5] H.J. Sandkühler, L’idéalisme allemand. Introduction, in J.F. Kervégan, H.J. Sandkühler (a cura di), Manuel de l’idéalisme allemand, Editions du Cerf, Paris 2015, p. 13.
[6] D. Losurdo, «Introduzione», in G.W.F. Hegel, Le filosofie del diritto. Diritto, proprietà, questione sociale, Leonardo Editore, Milano 1989, p. 53.
[7] J.-C. Bourdin, Hegel et la «question sociale»: société civile, vie et détresse, «Revue germanique internationale», 15, 2001, pp. 145-176, in particolare p. 29.
[8] G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, cit., § 244A, p. 356.
[9] A. Gramsci, Quaderni dal carcere, Q10, II, § 9.
[10] A. Honneth, Il dolore dell’indeterminato. Un’attualizzazione della filosofia politica di Hegel, Manifestolibri, Roma 2003.
[11] R.B. Pippin, Die Aktualität des Deutschen Idealismus, Suhrkamp, Frankfurt a.M 2016.
[12] F. Fischbach, Comment penser philosophiquement le social?, «Cahiers philosophiques», 1, 2013, pp. 7-20, in particolare p. 11.
[13] F. Engels, Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, La città del sole, Napoli 2008.
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Il periodo in cui i principali rappresentanti dell’idealismo tedesco si ritrovano intorno allo stesso spirito culturale e a un comune milieu intellettuale corrisponde un momento decisivo della storia dell’Europa. Sono gli anni di un mondo a cavallo tra restaurazione e rivoluzione, attraversati da grandi eventi storico-politici e da profondi cambiamenti economici, scientifici e sociali che costituiscono l’orizzonte entro cui tale movimento filosofico prende vita. Punto di partenza comune è l’illuminismo, in particolare la sua ricezione tedesca, e ciascuno a modo suo si distingue come spettatore niente affatto passivo della propria epoca: l’intera generazione non solo non fu indifferente al suo tempo, ma ha avuto l’ambizione di comprenderlo attraverso la propria filosofia[4], che, a dispetto dell’etichetta con cui la storiografia è solita definirla, si caratterizza per un lucido realismo e rende i protagonisti di questa fase della storia del pensiero occidentale come «attori impegnati», volti a interrogare e mettere in evidenza le contraddizioni del proprio tempo e a prender parte ai cambiamenti che avvenivano sotto i loro occhi, primo fra tutti la caduta dell’Ancien Régime[5]. Come testimonia Il più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco, tali autori sono uniti da una comunanza di intenti e da una sensibilità politico-filosofica orientata verso il nuovo e pronta a rompere con il vecchio mondo. Se con l’idealismo tedesco il sociale assume un ruolo di primo piano il motivo è che la filosofia si caratterizza innanzitutto in quanto filosofia pratica, in virtù di una nuova «mitologia della ragione», tesa al rinnovamento etico, spirituale e politico dell’umanità, capace di rispondere ai bisogni della vita, volta alla realizzazione della libertà in opposizione al meccanicismo statuale.
Tra i rappresentanti della filosofia classica tedesca il nome che più di tutti è associato alla questione sociale è senza dubbio Hegel – a cui non a caso è dedicata la maggior parte dei contributi di questo volume e del seguente – in quanto egli ha delineato, come nessuno prima di allora, i tratti della bürgerliche Gesellschaft. È infatti uno dei più importanti interpreti del pensiero hegelo-marxista, Domenico Losurdo, ad aver affermato a proposito dei corsi di filosofia del diritto pubblicati negli ultimi decenni, che «il tema che emerge con maggior forza, e con maggior ricchezza di particolari e di novità […] è la questione sociale intesa nella sua accezione più ampia», mostrando pertanto che la concezione del filosofo è «da questo punto di vista tutt’altro che idealista»[6].
Con l’espressione “questione sociale” si intende in primo luogo tutto ciò che pertiene alla società civile come sistema dei bisogni e alle contraddizioni che essa ingenera: dall’introduzione delle macchine alla parcellizzazione del lavoro, da fenomeni di astrazione e alienazione dell’operaio alla crisi di sovrapproduzione, dal benessere alla genesi della plebe, dal Notrecht alla nascita di soggetti collettivi come le corporazioni e le società mutualistiche. La prima accezione di una “questione sociale” deve pertanto iscriversi sul terreno dell’economia politica, in quanto Hegel diagnostica, come sottolinea Bourdin, un fenomeno storicamente nuovo legato alla modernità, e in particolare alla modernità del lavoro, che conferisce alla società un volto potenzialmente inumano[7]. È lo stesso Hegel in fondo ad affermare che «l’importante questione di come si debba sovvenire alla povertà è una questione che muove e tormenta segnatamente le società moderne»[8].
Il rapporto fra la filosofia classica tedesca e la struttura sociale e politica della Germania, in particolare la rivoluzione industriale e l’emergere della società capitalista, ha impegnato numerosi interpreti che, soprattutto nel corso del secolo scorso, hanno messo in risalto le contraddizioni della società civile così come sono state analizzate da Hegel. In questo contesto è la ricezione marxista che ha contribuito maggiormente a delineare Hegel quale teorico della società borghese, il quale, indipendentemente dalle aspre critiche che gli sono state rivolte da Marx in poi, avrebbe messo in luce il ruolo che l’economia politica ricopre nella filosofia, avrebbe meglio di chiunque altro colto l’essenza del lavoro e dell’alienazione, nonché tratteggiato le conseguenze della struttura economica sul terreno dei rapporti sociali e sulla condizione di ciò che sarebbe stato il proletariato. Per decenni la discussione intorno ai rappresentanti della filosofia tedesca tra XVIII e XIX secolo si è intrecciata, nel bene o nel male, con quella del marxismo e ciò ha avuto l’effetto di far emergere come al centro di quei pensatori fosse già presente la “questione sociale”, che emerge proprio alla luce dell’insieme dei problemi posti dalla società moderna e delle misure prese per ovviare e risolvere tali difficoltà, tenuto conto degli effetti sociali prodotti dall’economia. Non è un caso infatti che secondo Gramsci «la filosofia della praxis» sia «nata sul terreno del massimo sviluppo della cultura della prima metà del secolo XIX, cultura rappresentata dalla filosofia classica tedesca, dall’economia classica inglese, e dalla letteratura e pratica politica francese»[9].
Nel corso degli ultimi decenni gli studi sull’idealismo tedesco hanno vissuto nuovamente una fase felice a partire da quel movimento che negli anni Settanta ha promosso una Rehabilitierung der praktische Philosophie, il cui effetto è stato dar luogo a una Renaissance del pensiero kantiano e di quello hegeliano tutt’oggi ancora in corso: dalla teoria della giustizia al problema del fondamento della morale, la rinnovata attenzione nei confronti della filosofia kantiana si svolge sul terreno dell’etica normativa o della teoria dell’azione e si distingue per un’interpretazione costruttivista dell’autore della Metafisica dei costumi, mentre la filosofia politica di Hegel è stata oggetto di una «attualizzazione» alla luce di un’interpretazione post-metafisica[10]. In quest’ottica, come è noto, l’ultima generazione della Scuola di Francoforte ha individuato in Fichte e in Hegel i referenti per una teoria del riconoscimento intersoggettivo, paradigma di una teoria critica della società, mentre in ambito americano Hegel ha avuto un ruolo importante nell’ambito dell’ontologia sociale fino ad esser protagonista di quel filone di studi di matrice analitica e pragmatista che si caratterizza per la tesi della socialità della ragione. Attraverso una lettura che evidenzia la continuità fra Kant e Hegel e considera l’operazione di quest’ultimo come una radicalizzazione delle tesi del primo, da Rorty a Brandom il dibattito contemporaneo ha riscoperto, come enuncia il titolo di un recente libro di Pippin, «l’attualità dell’idealismo tedesco»[11], nella convinzione che alcune problematiche teoriche e pratiche di oggi possano essere illuminate dallo studio e dalla ripresa degli autori di quegli anni.
Il presente numero si inscrive all’interno di questa costellazione, mirando ad attraversare prospettive e approcci che concorrono a rinnovare la riflessione intorno alla questione sociale. L’obiettivo non è stabilire cosa è vivo o cosa è morto dell’idealismo tedesco, ma piuttosto mobilitare alcune categorie per interrogare il nostro presente, capire da dove veniamo e cosa ne è di quel progetto – incompiuto o già fallito – che è la modernità. La domanda di fondo concerne allora la possibilità per la filosofia di comprendere le dinamiche in atto nella società senza accontentarsi di un esame empirico, ma con l’ambizione di poter individuare la ragione all’opera nei processi storico-sociali e di non cedere alla déraison, ovvero all’assoluta irrazionalità e l’insensatezza del reale. Dal punto di vista interpretativo, l’orientamento del volume riposa pertanto sulle letture che hanno definitivamente preso le distanze da una visione dell’idealismo tedesco come panlogismo, conservatorismo o quietismo politico per mettere in luce un ritratto di questi autori come teorici della libertà e sostenitori dell’emancipazione, studiosi delle istituzioni moderne ed esploratori della condizione umana.
Senza avere la pretesa di sostenere una tesi ermeneutica, obiettivo di questo numero è indagare il sociale in senso lato, oltre l’economico e al di là di un luogo circoscritto, frapposto fra il privato e il pubblico. Parafrasando Dewey, potremmo dire che si intende analizzare il sociale senza identificarlo necessariamente con la società, giacché esso non è solo un livello specifico dell’organizzazione statale, ma l’espressione di molteplici fattori – economici e giuridici, ma anche politici, religiosi, culturali, identitari – che concorrono a vario titolo all’individualizzazione e alla socializzazione degli individui. Come afferma Fischbach, «se bisogna distinguere tra il sociale da un lato e la società dall’altra è perché la società è, allo stesso titolo della famiglia e dello stato, un sotto-sistema del sociale, nel senso in cui la famiglia, la società civile e lo stato sono esemplificazioni di ciò che Hegel chiama la Sittlichkeit», tanto che quest’ultima possiederebbe, secondo l’autore, il senso di ciò che chiamiamo oggi «il sociale» o «la vita sociale in quanto tale»[12]. Pensare filosoficamente il sociale significherebbe allora, a differenza delle scienze sociali, intrecciare normatività e descrizione, teoria e prassi, comprensione dell’esistente e critica di quello stesso dato.
In questo senso presupposto implicito di una riflessione sulla questione sociale è la netta presa di distanza dall’individualismo metodologico, che coincide con una concezione astratta della libertà e atomistica della collettività: a differenza del contrattualismo e del liberalismo, si tratta di prendere le mosse non solo dal fatto che gli individui sono naturalmente sociali, ma che vi è tra essi e la società un rapporto di appartenenza tale che il sociale concorre a strutturare l’identità del soggetto moderno e la sua autocoscienza riflessiva, nonché a formare le rappresentazioni e concezioni di un individuo proprio in quanto esso è parte integrante di una struttura sociale. Punto di partenza non è allora l’individuo isolato, ma le concrete relazioni sociali e la complessa compagine istituzionale entro cui l’uomo prende coscienza di sé e conduce la sua vita. Non solo la natura degli esseri umani è sociale, ma la totalità sociale costituisce l’ambiente naturale abitato dall’uomo, che rende possibile un’esistenza libera e razionale e che è al tempo stesso attraversato da dinamiche di potere, prevede meccanismi di riproduzione, opera tramite norme immanenti, giuridiche o morali, e genera forme di alienazione. Possiamo pertanto affermare che lo spazio sociale assume le caratteristiche, oggi forse più che mai, di una seconda natura: in un senso ben più radicale e profondo di quanto già noto ad Aristotele, l’umano è essenzialmente inscritto in una serie di rapporti economici, culturali, politici, nonché istituzionali. Aver pensato l’umano a partire da questa concretezza, necessariamente storica, non è certo parte trascurabile del mutamento di paradigma introdotto dall’idealismo tedesco.
Tale prospettiva rappresenta uno dei più importanti lasciti dell’idealismo tedesco, tanto che, come sembra suggerire Engels, «punto di approdo della filosofia classica tedesca»[13] è la tesi marxiana per cui non esiste l’uomo in astratto, ma l’individuo è reso tale dalla società storica in cui vive: una volta maturata la consapevolezza che l’essenza dell’uomo non è un dato fisso e indisponibile, ma è mutabile e soggetta a trasformazioni, ovvero che nella sua realtà «l’essere umano è l’insieme dei rapporti sociali», la filosofia non potrà di conseguenza che interrogarsi sul senso di un’ontologia dell’essere storico-sociale.
Interiorizzare la lezione dell’idealismo tedesco significa allora innanzitutto, prendere le mosse dalla distinzione fra società civile e stato, la quale rappresenta uno dei pilastri della modernità, ma al tempo stesso andare oltre una netta separazione, in un mondo che si confronta con la difficoltà di delineare la fisionomia dello stato e che vede emergere in primo piano un concetto inedito come quello di società civile globale. Al contrario, se i confini di ciò che siamo soliti chiamare sociale sono difficili da marcare con un tratto netto, in quanto esso tracima continuamente in altri ambiti, la filosofia classica tedesca può forse farci fare un passo indietro e permette di interrogarci su cosa vuol dire essere attori sociali e cittadini del mondo. Davanti alla profonda crisi dello stato-nazione – almeno nella struttura che ha dominato il secolo scorso e che all’epoca di Fichte e Schelling si andava ancora costruendo – riflettere sulle forme della politica vuol dire in primo luogo soffermarsi sul rapporto fra sociale e politico e sulla loro articolazione, in quanto il potere politico non può più essere calato dall’alto, ma al contrario si delinea a partire dall’anatomia della società civile, dalle sue dinamiche e dai suoi conflitti.
Discutere oggi cosa si intende per “questione sociale” significa dunque mettere in luce la tensione fra autonomia e dipendenza reciproca, la relazione fra desiderio e soddisfacimento del bisogno, così come implica prendere atto del fatto che le rivendicazioni materiali volte alla redistribuzione e all’uguaglianza non possono essere scisse da richieste di riconoscimento culturali e simboliche. Una tale questione chiama in causa altresì il rapporto fra natura e spirito, lo statuto della libertà e la sua traduzione in diritti universali, individuali o collettivi, il ruolo della cultura e dell’educazione, le condizioni del lavoro e le caratteristiche del mercato, fino allo spinoso tema della costituzione di un popolo e della sua rappresentazione. Da questo punto di vista, il principale insegnamento che possiamo trarre dalla filosofia classica tedesca riguarda il legame fra la teoria e la prassi, fra le modalità di conoscenza e le condizioni dell’agire, fra l’analisi speculativa e l’azione politica, in quanto la realtà sociale può e deve essere conosciuta, giustificata – financo trasformata – a partire dai principi di una ragione che non è pertanto solo soggettiva, ma che si incarna nel mondo.
***
Questo volume costituisce il primo di due tomi monografici che la rivista ha deciso di dedicare all’«Idealismo tedesco e la questione sociale» e sarà pertanto seguito da un numero che approfondirà e svilupperà ulteriormente una tema così ricco e variegato, sia per quanto riguarda gli autori coinvolti che per il dibattito che solleva. In questa prima parte sono raccolti i contributi che si concentrano da un punto di vista storico-filosofico direttamente sull’idealismo tedesco, cosicché, per quanto Hegel sia l’autore di riferimento principale, gli articoli coprono lo spettro che va da Kant a Marx, dedicandosi in alcuni casi anche a Fichte e a Schelling.
Per la prima volta, la rivista ha deciso di pubblicare saggi non solo in lunga italiana, includendo altresì contributi in inglese, francese e tedesco. Tale scelta nasce dal desiderio di aprirsi al panorama europeo e non solo e dunque di uscire dai confini nazionali, al fine di poter presentare i risultati delle ricerche svolte da studiose e studiosi di altre nazionalità, nella convinzione che nel mondo contemporaneo le frontiere debbano essere abbattute e che la comunità scientifica possa diventare il più ampia e inclusiva possibile, aperta allo scambio e al dibattito tra prospettive di ricerca variegate, culture eterogenee e lingue differenti.
Il volume si apre con un saggio di Domenico Losurdo, ripubblicato come omaggio a uno dei più importanti studiosi italiani della filosofia classica tedesca recentemente scomparso, il quale ha rappresentato per la nostra rivista, nel corso degli anni, un punto di riferimento e di arricchimento continuo. Nel suo articolo, Losurdo ritorna sulle categorie di idealismo e materialismo, definendo i caratteri di un’ontologia dell’essere sociale di matrice lukácsiana e sottolineando il contributo che Hegel e Marx hanno, in modo diverso, portato all’indagine dell’oggettività sociale e della filosofia della storia.
La definizione della storia come processo è oggetto del secondo articolo del numero, nel quale l’autore, Emmanuel Renault, mette a confronto la concezione hegeliana e quella kantiana di filosofia della storia. Attraverso la discussione del saggio Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo? e della sua interpretazione da parte di Foucault, Renault affronta il tema della Bildung e del suo rapporto con la Kultur, toccando il cuore teorico e politico di ciò che ha rappresentato l’Aufklärung tedesco in quanto orizzonte entro cui si sviluppa l’intera riflessione dell’idealismo tedesco.
La sezione Figure ospita due saggi che si concentrano sul tema della responsabilità e dell’imputazione a partire dal capitolo sulla moralità dei Lineamenti di filosofia del diritto di Hegel. Marmasse presenta un’attenta analisi dell’azione quale momento di interiorizzazione della decisione da parte dell’agente e delle sue conseguenze, affrontando la questione dell’intenzionalità dell’agire attraverso il riferimento a Antigone e Oreste. Giulia Battistoni approfondisce invece la nozione hegeliana di Tat facendo riferimento alle letture del giurista Karl Larenz e del filosofo Mark Alznauer e al concetto di Zweck così come è esposto nella sezione «Teleologia» della Scienza della logica, allo scopo di interrogarsi sugli standard normativi riconosciuti come leggi razionali e come criteri per giudicare l’agire nello spazio sociale.
La sezione Prospettive include quattro contributi che si concentrano sui principali rappresentanti dell’idealismo tedesco al di là di Hegel o che affrontano la questione sociale alla luce di uno sguardo più ampio, che tocca tematiche di estetica, di filosofia del linguaggio o di teoria politica. Se Simone Tarli dedica il suo articolo al ruolo dell’intuizione estetica nella filosofia di Schelling, focalizzandosi in particolare sugli ultimi due paragrafi del System des transzendentalen Idealismus, David Sommer prende in esame la concezione che definisce sociale della ragione di Fichte, confrontando il suo saggio Sulla capacità scientifica e sull’origine del linguaggio con alcuni precedenti trattati di Condillac e Herder. È uno dei testi meno conosciuti di Hegel ad essere oggetto del contributo di Nane Cantatore, la Propedeutica filosofica, che l’autore interpreta attraverso la nozione di Bildung come l’elaborazione di un modello di cittadinanza nello stato. Da tutt’altra prospettiva Guillaume Durieux si concentra inoltre sulla critica hegeliana della volontà generale di Rousseau al fine di far emergere affinità e differenze fra i due pensatori: al di là della presa di distanza da parte di Hegel nei confronti del contrattualismo, l’autore si interroga sulle condizioni di un realismo ontologico del corpo politico e sull’autonomia del politico rispetto al sociale.
Il saggio di Lea Ypi, pubblicato qui in traduzione italiana nella sezione Materiali, è dedicato alla critica della religione in Kant e Marx e mette in rilievo le affinità fra i due pensatori, in particolare rispetto all’emancipazione umana, alla realizzazione della libertà e al ruolo della comunità politica.
[1] H. Marcuse, Ragione e rivoluzione, Il Mulino, Bologna 1954, p. 19.
[2] Ivi, p. 283.
[3] G. Lukács, Il giovane Hegel e i problemi della società capitalista, Einaudi, Torino 1960, pp. 14-24.
[4] Per citare un arcinoto passaggio hegeliano, «la filosofia è il proprio tempo appreso in pensieri» (Lineamenti di filosofia del diritto, trad. it. di G. Marini, Laterza, Roma-Bari 2004, p. 15): qui sta tanto l’urgenza del presente quanto la consapevolezza della sua storicità, quanto la definizione di un compito che si colloca nello spazio tra il dettaglio finitimo dell’esperienza individuale e l’universalità astratta delle categorie eterne. In questa sintesi del concreto, che pone la filosofia nel tempo e, con ciò, anche nel pensiero, si può trovare tutta la novità e la fecondità della prospettiva dell’idealismo tedesco.
[5] H.J. Sandkühler, L’idéalisme allemand. Introduction, in J.F. Kervégan, H.J. Sandkühler (a cura di), Manuel de l’idéalisme allemand, Editions du Cerf, Paris 2015, p. 13.
[6] D. Losurdo, «Introduzione», in G.W.F. Hegel, Le filosofie del diritto. Diritto, proprietà, questione sociale, Leonardo Editore, Milano 1989, p. 53.
[7] J.-C. Bourdin, Hegel et la «question sociale»: société civile, vie et détresse, «Revue germanique internationale», 15, 2001, pp. 145-176, in particolare p. 29.
[8] G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, cit., § 244A, p. 356.
[9] A. Gramsci, Quaderni dal carcere, Q10, II, § 9.
[10] A. Honneth, Il dolore dell’indeterminato. Un’attualizzazione della filosofia politica di Hegel, Manifestolibri, Roma 2003.
[11] R.B. Pippin, Die Aktualität des Deutschen Idealismus, Suhrkamp, Frankfurt a.M 2016.
[12] F. Fischbach, Comment penser philosophiquement le social?, «Cahiers philosophiques», 1, 2013, pp. 7-20, in particolare p. 11.
[13] F. Engels, Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, La città del sole, Napoli 2008.
SE - 2/2017
DA - 2017
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Il periodo in cui i principali rappresentanti dell’idealismo tedesco si ritrovano intorno allo stesso spirito culturale e a un comune milieu intellettuale corrisponde un momento decisivo della storia dell’Europa. Sono gli anni di un mondo a cavallo tra restaurazione e rivoluzione, attraversati da grandi eventi storico-politici e da profondi cambiamenti economici, scientifici e sociali che costituiscono l’orizzonte entro cui tale movimento filosofico prende vita. Punto di partenza comune è l’illuminismo, in particolare la sua ricezione tedesca, e ciascuno a modo suo si distingue come spettatore niente affatto passivo della propria epoca: l’intera generazione non solo non fu indifferente al suo tempo, ma ha avuto l’ambizione di comprenderlo attraverso la propria filosofia[4], che, a dispetto dell’etichetta con cui la storiografia è solita definirla, si caratterizza per un lucido realismo e rende i protagonisti di questa fase della storia del pensiero occidentale come «attori impegnati», volti a interrogare e mettere in evidenza le contraddizioni del proprio tempo e a prender parte ai cambiamenti che avvenivano sotto i loro occhi, primo fra tutti la caduta dell’Ancien Régime[5]. Come testimonia Il più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco, tali autori sono uniti da una comunanza di intenti e da una sensibilità politico-filosofica orientata verso il nuovo e pronta a rompere con il vecchio mondo. Se con l’idealismo tedesco il sociale assume un ruolo di primo piano il motivo è che la filosofia si caratterizza innanzitutto in quanto filosofia pratica, in virtù di una nuova «mitologia della ragione», tesa al rinnovamento etico, spirituale e politico dell’umanità, capace di rispondere ai bisogni della vita, volta alla realizzazione della libertà in opposizione al meccanicismo statuale.
Tra i rappresentanti della filosofia classica tedesca il nome che più di tutti è associato alla questione sociale è senza dubbio Hegel – a cui non a caso è dedicata la maggior parte dei contributi di questo volume e del seguente – in quanto egli ha delineato, come nessuno prima di allora, i tratti della bürgerliche Gesellschaft. È infatti uno dei più importanti interpreti del pensiero hegelo-marxista, Domenico Losurdo, ad aver affermato a proposito dei corsi di filosofia del diritto pubblicati negli ultimi decenni, che «il tema che emerge con maggior forza, e con maggior ricchezza di particolari e di novità […] è la questione sociale intesa nella sua accezione più ampia», mostrando pertanto che la concezione del filosofo è «da questo punto di vista tutt’altro che idealista»[6].
Con l’espressione “questione sociale” si intende in primo luogo tutto ciò che pertiene alla società civile come sistema dei bisogni e alle contraddizioni che essa ingenera: dall’introduzione delle macchine alla parcellizzazione del lavoro, da fenomeni di astrazione e alienazione dell’operaio alla crisi di sovrapproduzione, dal benessere alla genesi della plebe, dal Notrecht alla nascita di soggetti collettivi come le corporazioni e le società mutualistiche. La prima accezione di una “questione sociale” deve pertanto iscriversi sul terreno dell’economia politica, in quanto Hegel diagnostica, come sottolinea Bourdin, un fenomeno storicamente nuovo legato alla modernità, e in particolare alla modernità del lavoro, che conferisce alla società un volto potenzialmente inumano[7]. È lo stesso Hegel in fondo ad affermare che «l’importante questione di come si debba sovvenire alla povertà è una questione che muove e tormenta segnatamente le società moderne»[8].
Il rapporto fra la filosofia classica tedesca e la struttura sociale e politica della Germania, in particolare la rivoluzione industriale e l’emergere della società capitalista, ha impegnato numerosi interpreti che, soprattutto nel corso del secolo scorso, hanno messo in risalto le contraddizioni della società civile così come sono state analizzate da Hegel. In questo contesto è la ricezione marxista che ha contribuito maggiormente a delineare Hegel quale teorico della società borghese, il quale, indipendentemente dalle aspre critiche che gli sono state rivolte da Marx in poi, avrebbe messo in luce il ruolo che l’economia politica ricopre nella filosofia, avrebbe meglio di chiunque altro colto l’essenza del lavoro e dell’alienazione, nonché tratteggiato le conseguenze della struttura economica sul terreno dei rapporti sociali e sulla condizione di ciò che sarebbe stato il proletariato. Per decenni la discussione intorno ai rappresentanti della filosofia tedesca tra XVIII e XIX secolo si è intrecciata, nel bene o nel male, con quella del marxismo e ciò ha avuto l’effetto di far emergere come al centro di quei pensatori fosse già presente la “questione sociale”, che emerge proprio alla luce dell’insieme dei problemi posti dalla società moderna e delle misure prese per ovviare e risolvere tali difficoltà, tenuto conto degli effetti sociali prodotti dall’economia. Non è un caso infatti che secondo Gramsci «la filosofia della praxis» sia «nata sul terreno del massimo sviluppo della cultura della prima metà del secolo XIX, cultura rappresentata dalla filosofia classica tedesca, dall’economia classica inglese, e dalla letteratura e pratica politica francese»[9].
Nel corso degli ultimi decenni gli studi sull’idealismo tedesco hanno vissuto nuovamente una fase felice a partire da quel movimento che negli anni Settanta ha promosso una Rehabilitierung der praktische Philosophie, il cui effetto è stato dar luogo a una Renaissance del pensiero kantiano e di quello hegeliano tutt’oggi ancora in corso: dalla teoria della giustizia al problema del fondamento della morale, la rinnovata attenzione nei confronti della filosofia kantiana si svolge sul terreno dell’etica normativa o della teoria dell’azione e si distingue per un’interpretazione costruttivista dell’autore della Metafisica dei costumi, mentre la filosofia politica di Hegel è stata oggetto di una «attualizzazione» alla luce di un’interpretazione post-metafisica[10]. In quest’ottica, come è noto, l’ultima generazione della Scuola di Francoforte ha individuato in Fichte e in Hegel i referenti per una teoria del riconoscimento intersoggettivo, paradigma di una teoria critica della società, mentre in ambito americano Hegel ha avuto un ruolo importante nell’ambito dell’ontologia sociale fino ad esser protagonista di quel filone di studi di matrice analitica e pragmatista che si caratterizza per la tesi della socialità della ragione. Attraverso una lettura che evidenzia la continuità fra Kant e Hegel e considera l’operazione di quest’ultimo come una radicalizzazione delle tesi del primo, da Rorty a Brandom il dibattito contemporaneo ha riscoperto, come enuncia il titolo di un recente libro di Pippin, «l’attualità dell’idealismo tedesco»[11], nella convinzione che alcune problematiche teoriche e pratiche di oggi possano essere illuminate dallo studio e dalla ripresa degli autori di quegli anni.
Il presente numero si inscrive all’interno di questa costellazione, mirando ad attraversare prospettive e approcci che concorrono a rinnovare la riflessione intorno alla questione sociale. L’obiettivo non è stabilire cosa è vivo o cosa è morto dell’idealismo tedesco, ma piuttosto mobilitare alcune categorie per interrogare il nostro presente, capire da dove veniamo e cosa ne è di quel progetto – incompiuto o già fallito – che è la modernità. La domanda di fondo concerne allora la possibilità per la filosofia di comprendere le dinamiche in atto nella società senza accontentarsi di un esame empirico, ma con l’ambizione di poter individuare la ragione all’opera nei processi storico-sociali e di non cedere alla déraison, ovvero all’assoluta irrazionalità e l’insensatezza del reale. Dal punto di vista interpretativo, l’orientamento del volume riposa pertanto sulle letture che hanno definitivamente preso le distanze da una visione dell’idealismo tedesco come panlogismo, conservatorismo o quietismo politico per mettere in luce un ritratto di questi autori come teorici della libertà e sostenitori dell’emancipazione, studiosi delle istituzioni moderne ed esploratori della condizione umana.
Senza avere la pretesa di sostenere una tesi ermeneutica, obiettivo di questo numero è indagare il sociale in senso lato, oltre l’economico e al di là di un luogo circoscritto, frapposto fra il privato e il pubblico. Parafrasando Dewey, potremmo dire che si intende analizzare il sociale senza identificarlo necessariamente con la società, giacché esso non è solo un livello specifico dell’organizzazione statale, ma l’espressione di molteplici fattori – economici e giuridici, ma anche politici, religiosi, culturali, identitari – che concorrono a vario titolo all’individualizzazione e alla socializzazione degli individui. Come afferma Fischbach, «se bisogna distinguere tra il sociale da un lato e la società dall’altra è perché la società è, allo stesso titolo della famiglia e dello stato, un sotto-sistema del sociale, nel senso in cui la famiglia, la società civile e lo stato sono esemplificazioni di ciò che Hegel chiama la Sittlichkeit», tanto che quest’ultima possiederebbe, secondo l’autore, il senso di ciò che chiamiamo oggi «il sociale» o «la vita sociale in quanto tale»[12]. Pensare filosoficamente il sociale significherebbe allora, a differenza delle scienze sociali, intrecciare normatività e descrizione, teoria e prassi, comprensione dell’esistente e critica di quello stesso dato.
In questo senso presupposto implicito di una riflessione sulla questione sociale è la netta presa di distanza dall’individualismo metodologico, che coincide con una concezione astratta della libertà e atomistica della collettività: a differenza del contrattualismo e del liberalismo, si tratta di prendere le mosse non solo dal fatto che gli individui sono naturalmente sociali, ma che vi è tra essi e la società un rapporto di appartenenza tale che il sociale concorre a strutturare l’identità del soggetto moderno e la sua autocoscienza riflessiva, nonché a formare le rappresentazioni e concezioni di un individuo proprio in quanto esso è parte integrante di una struttura sociale. Punto di partenza non è allora l’individuo isolato, ma le concrete relazioni sociali e la complessa compagine istituzionale entro cui l’uomo prende coscienza di sé e conduce la sua vita. Non solo la natura degli esseri umani è sociale, ma la totalità sociale costituisce l’ambiente naturale abitato dall’uomo, che rende possibile un’esistenza libera e razionale e che è al tempo stesso attraversato da dinamiche di potere, prevede meccanismi di riproduzione, opera tramite norme immanenti, giuridiche o morali, e genera forme di alienazione. Possiamo pertanto affermare che lo spazio sociale assume le caratteristiche, oggi forse più che mai, di una seconda natura: in un senso ben più radicale e profondo di quanto già noto ad Aristotele, l’umano è essenzialmente inscritto in una serie di rapporti economici, culturali, politici, nonché istituzionali. Aver pensato l’umano a partire da questa concretezza, necessariamente storica, non è certo parte trascurabile del mutamento di paradigma introdotto dall’idealismo tedesco.
Tale prospettiva rappresenta uno dei più importanti lasciti dell’idealismo tedesco, tanto che, come sembra suggerire Engels, «punto di approdo della filosofia classica tedesca»[13] è la tesi marxiana per cui non esiste l’uomo in astratto, ma l’individuo è reso tale dalla società storica in cui vive: una volta maturata la consapevolezza che l’essenza dell’uomo non è un dato fisso e indisponibile, ma è mutabile e soggetta a trasformazioni, ovvero che nella sua realtà «l’essere umano è l’insieme dei rapporti sociali», la filosofia non potrà di conseguenza che interrogarsi sul senso di un’ontologia dell’essere storico-sociale.
Interiorizzare la lezione dell’idealismo tedesco significa allora innanzitutto, prendere le mosse dalla distinzione fra società civile e stato, la quale rappresenta uno dei pilastri della modernità, ma al tempo stesso andare oltre una netta separazione, in un mondo che si confronta con la difficoltà di delineare la fisionomia dello stato e che vede emergere in primo piano un concetto inedito come quello di società civile globale. Al contrario, se i confini di ciò che siamo soliti chiamare sociale sono difficili da marcare con un tratto netto, in quanto esso tracima continuamente in altri ambiti, la filosofia classica tedesca può forse farci fare un passo indietro e permette di interrogarci su cosa vuol dire essere attori sociali e cittadini del mondo. Davanti alla profonda crisi dello stato-nazione – almeno nella struttura che ha dominato il secolo scorso e che all’epoca di Fichte e Schelling si andava ancora costruendo – riflettere sulle forme della politica vuol dire in primo luogo soffermarsi sul rapporto fra sociale e politico e sulla loro articolazione, in quanto il potere politico non può più essere calato dall’alto, ma al contrario si delinea a partire dall’anatomia della società civile, dalle sue dinamiche e dai suoi conflitti.
Discutere oggi cosa si intende per “questione sociale” significa dunque mettere in luce la tensione fra autonomia e dipendenza reciproca, la relazione fra desiderio e soddisfacimento del bisogno, così come implica prendere atto del fatto che le rivendicazioni materiali volte alla redistribuzione e all’uguaglianza non possono essere scisse da richieste di riconoscimento culturali e simboliche. Una tale questione chiama in causa altresì il rapporto fra natura e spirito, lo statuto della libertà e la sua traduzione in diritti universali, individuali o collettivi, il ruolo della cultura e dell’educazione, le condizioni del lavoro e le caratteristiche del mercato, fino allo spinoso tema della costituzione di un popolo e della sua rappresentazione. Da questo punto di vista, il principale insegnamento che possiamo trarre dalla filosofia classica tedesca riguarda il legame fra la teoria e la prassi, fra le modalità di conoscenza e le condizioni dell’agire, fra l’analisi speculativa e l’azione politica, in quanto la realtà sociale può e deve essere conosciuta, giustificata – financo trasformata – a partire dai principi di una ragione che non è pertanto solo soggettiva, ma che si incarna nel mondo.
***
Questo volume costituisce il primo di due tomi monografici che la rivista ha deciso di dedicare all’«Idealismo tedesco e la questione sociale» e sarà pertanto seguito da un numero che approfondirà e svilupperà ulteriormente una tema così ricco e variegato, sia per quanto riguarda gli autori coinvolti che per il dibattito che solleva. In questa prima parte sono raccolti i contributi che si concentrano da un punto di vista storico-filosofico direttamente sull’idealismo tedesco, cosicché, per quanto Hegel sia l’autore di riferimento principale, gli articoli coprono lo spettro che va da Kant a Marx, dedicandosi in alcuni casi anche a Fichte e a Schelling.
Per la prima volta, la rivista ha deciso di pubblicare saggi non solo in lunga italiana, includendo altresì contributi in inglese, francese e tedesco. Tale scelta nasce dal desiderio di aprirsi al panorama europeo e non solo e dunque di uscire dai confini nazionali, al fine di poter presentare i risultati delle ricerche svolte da studiose e studiosi di altre nazionalità, nella convinzione che nel mondo contemporaneo le frontiere debbano essere abbattute e che la comunità scientifica possa diventare il più ampia e inclusiva possibile, aperta allo scambio e al dibattito tra prospettive di ricerca variegate, culture eterogenee e lingue differenti.
Il volume si apre con un saggio di Domenico Losurdo, ripubblicato come omaggio a uno dei più importanti studiosi italiani della filosofia classica tedesca recentemente scomparso, il quale ha rappresentato per la nostra rivista, nel corso degli anni, un punto di riferimento e di arricchimento continuo. Nel suo articolo, Losurdo ritorna sulle categorie di idealismo e materialismo, definendo i caratteri di un’ontologia dell’essere sociale di matrice lukácsiana e sottolineando il contributo che Hegel e Marx hanno, in modo diverso, portato all’indagine dell’oggettività sociale e della filosofia della storia.
La definizione della storia come processo è oggetto del secondo articolo del numero, nel quale l’autore, Emmanuel Renault, mette a confronto la concezione hegeliana e quella kantiana di filosofia della storia. Attraverso la discussione del saggio Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo? e della sua interpretazione da parte di Foucault, Renault affronta il tema della Bildung e del suo rapporto con la Kultur, toccando il cuore teorico e politico di ciò che ha rappresentato l’Aufklärung tedesco in quanto orizzonte entro cui si sviluppa l’intera riflessione dell’idealismo tedesco.
La sezione Figure ospita due saggi che si concentrano sul tema della responsabilità e dell’imputazione a partire dal capitolo sulla moralità dei Lineamenti di filosofia del diritto di Hegel. Marmasse presenta un’attenta analisi dell’azione quale momento di interiorizzazione della decisione da parte dell’agente e delle sue conseguenze, affrontando la questione dell’intenzionalità dell’agire attraverso il riferimento a Antigone e Oreste. Giulia Battistoni approfondisce invece la nozione hegeliana di Tat facendo riferimento alle letture del giurista Karl Larenz e del filosofo Mark Alznauer e al concetto di Zweck così come è esposto nella sezione «Teleologia» della Scienza della logica, allo scopo di interrogarsi sugli standard normativi riconosciuti come leggi razionali e come criteri per giudicare l’agire nello spazio sociale.
La sezione Prospettive include quattro contributi che si concentrano sui principali rappresentanti dell’idealismo tedesco al di là di Hegel o che affrontano la questione sociale alla luce di uno sguardo più ampio, che tocca tematiche di estetica, di filosofia del linguaggio o di teoria politica. Se Simone Tarli dedica il suo articolo al ruolo dell’intuizione estetica nella filosofia di Schelling, focalizzandosi in particolare sugli ultimi due paragrafi del System des transzendentalen Idealismus, David Sommer prende in esame la concezione che definisce sociale della ragione di Fichte, confrontando il suo saggio Sulla capacità scientifica e sull’origine del linguaggio con alcuni precedenti trattati di Condillac e Herder. È uno dei testi meno conosciuti di Hegel ad essere oggetto del contributo di Nane Cantatore, la Propedeutica filosofica, che l’autore interpreta attraverso la nozione di Bildung come l’elaborazione di un modello di cittadinanza nello stato. Da tutt’altra prospettiva Guillaume Durieux si concentra inoltre sulla critica hegeliana della volontà generale di Rousseau al fine di far emergere affinità e differenze fra i due pensatori: al di là della presa di distanza da parte di Hegel nei confronti del contrattualismo, l’autore si interroga sulle condizioni di un realismo ontologico del corpo politico e sull’autonomia del politico rispetto al sociale.
Il saggio di Lea Ypi, pubblicato qui in traduzione italiana nella sezione Materiali, è dedicato alla critica della religione in Kant e Marx e mette in rilievo le affinità fra i due pensatori, in particolare rispetto all’emancipazione umana, alla realizzazione della libertà e al ruolo della comunità politica.
[1] H. Marcuse, Ragione e rivoluzione, Il Mulino, Bologna 1954, p. 19.
[2] Ivi, p. 283.
[3] G. Lukács, Il giovane Hegel e i problemi della società capitalista, Einaudi, Torino 1960, pp. 14-24.
[4] Per citare un arcinoto passaggio hegeliano, «la filosofia è il proprio tempo appreso in pensieri» (Lineamenti di filosofia del diritto, trad. it. di G. Marini, Laterza, Roma-Bari 2004, p. 15): qui sta tanto l’urgenza del presente quanto la consapevolezza della sua storicità, quanto la definizione di un compito che si colloca nello spazio tra il dettaglio finitimo dell’esperienza individuale e l’universalità astratta delle categorie eterne. In questa sintesi del concreto, che pone la filosofia nel tempo e, con ciò, anche nel pensiero, si può trovare tutta la novità e la fecondità della prospettiva dell’idealismo tedesco.
[5] H.J. Sandkühler, L’idéalisme allemand. Introduction, in J.F. Kervégan, H.J. Sandkühler (a cura di), Manuel de l’idéalisme allemand, Editions du Cerf, Paris 2015, p. 13.
[6] D. Losurdo, «Introduzione», in G.W.F. Hegel, Le filosofie del diritto. Diritto, proprietà, questione sociale, Leonardo Editore, Milano 1989, p. 53.
[7] J.-C. Bourdin, Hegel et la «question sociale»: société civile, vie et détresse, «Revue germanique internationale», 15, 2001, pp. 145-176, in particolare p. 29.
[8] G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, cit., § 244A, p. 356.
[9] A. Gramsci, Quaderni dal carcere, Q10, II, § 9.
[10] A. Honneth, Il dolore dell’indeterminato. Un’attualizzazione della filosofia politica di Hegel, Manifestolibri, Roma 2003.
[11] R.B. Pippin, Die Aktualität des Deutschen Idealismus, Suhrkamp, Frankfurt a.M 2016.
[12] F. Fischbach, Comment penser philosophiquement le social?, «Cahiers philosophiques», 1, 2013, pp. 7-20, in particolare p. 11.
[13] F. Engels, Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, La città del sole, Napoli 2008.}
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