Nelle prime pagine di Altrimenti che essere, illustrando le difficoltà cui va incontro il tentativo di trovare un linguaggio adatto per enunciare l’ordine «anteriore all’essere», ossia un linguaggio che faccia «ecezione all’essere», Lévinas segnala un «problema metodologico». Questo consiste nel domandarsi «se il pre-originale del Dire (l’anarchico, o come lo chiamiamo, il non-originale) può essere indotto a tradirsi mostrandosi in un tema (se un’an-archeologia è possibile), e se questo tradimento può ridursi; se si può nello stesso tempo sapere e liberare il saputo dai segni che la tematizzazione gli imprime subordinandolo all’ontologia. Tradimento al cui prezzo tutto si mostra, perfino l’indicibile, e grazie al quale è possibile l’indiscrezione riguardo all’indicibile che è probabilmente il lavoro stesso della filosofia»1, pp. 8-10.]. La filosofia, atea per sua stessa natura, aggrava il tradimento nei confronti dell’indicibile (vale a dire di Dio) proprio a causa della sua genuina volontà di sapere. Lungi dall’escluderla dal dominio della scienza ontologica, l’approccio arrogante che la filosofia mantiene nei riguardi della vera trascendenza è tale da indurla, in un modo o nell’altro, a mostrarsi, cioè ad entrare in un discorso per poter essere, finalmente, detta. Potremmo riassumere in questi termini la posizione che Lévinas assume nei riguardi della filosofia e della sua tâche, del suo compito. Ma perché secondo Lévinas il problema sarebbe “metodologico”? Il tradimento della filosofia nei confronti di Dio ha un senso univoco? Oppure il suo ateismo congenito offre un’altra prospettiva da cui guardare al problema della trascendenza assoluta e irrecuperabile? La questione non avrebbe senso e non meriterebbe nemmeno di essere posta se non si segnalasse, nella filosofia stessa, la possibilità di un’alternativa, ossia una relazione con la trascendenza che riesca a preservarne il senso senza neutralizzarne la dismisura. Come può la filosofia, mantenendosi tale, avvicinare l’indicibile trascendenza di Dio, descrivere lo «sconvolgimento semantico della parola Dio»2? Che cosa significa liberare la trascendenza «dai segni che la tematizzazione le imprime»? In altri termini: è possibile pensare un significato di Dio non subordinato all’ontologia?
Cfr. E. Lévinas, Altrimenti che essere, Jaca Book, Milano 2006 [AE ↩
Carbone, Guelfo."PENSARE ALTRIMENTI LA STORIA DELL’ESSERE. Aporie dell’ontoteologia di Lévinas". PólemosVI. 4-5. (2011): 202-212https://www.rivistapolemos.it/pensare-altrimenti-la-storia-dellessere-aporie-dellontoteologia-di-levinas/?lang=it
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Carbone, G.(2011). "PENSARE ALTRIMENTI LA STORIA DELL’ESSERE. Aporie dell’ontoteologia di Lévinas". PólemosVI. (4-5). 202-212https://www.rivistapolemos.it/pensare-altrimenti-la-storia-dellessere-aporie-dellontoteologia-di-levinas/?lang=it
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Carbone, Guelfo.2011. "PENSARE ALTRIMENTI LA STORIA DELL’ESSERE. Aporie dell’ontoteologia di Lévinas". PólemosVI (4-5). Donzelli Editore: 202-212. https://www.rivistapolemos.it/pensare-altrimenti-la-storia-dellessere-aporie-dellontoteologia-di-levinas/?lang=it
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TY - JOUR
A1 - Carbone, Guelfo
PY - 2011
TI - PENSARE ALTRIMENTI LA STORIA DELL’ESSERE. Aporie dell’ontoteologia di Lévinas
JO - Plemos
SN - 9788890413650/2281-9517
AB - Nelle prime pagine di Altrimenti che essere, illustrando le difficoltà cui va incontro il tentativo di trovare un linguaggio adatto per enunciare l’ordine «anteriore all’essere», ossia un linguaggio che faccia «ecezione all’essere», Lévinas segnala un «problema metodologico». Questo consiste nel domandarsi «se il pre-originale del Dire (l’anarchico, o come lo chiamiamo, il non-originale) può essere indotto a tradirsi mostrandosi in un tema (se un’an-archeologia è possibile), e se questo tradimento può ridursi; se si può nello stesso tempo sapere e liberare il saputo dai segni che la tematizzazione gli imprime subordinandolo all’ontologia. Tradimento al cui prezzo tutto si mostra, perfino l’indicibile, e grazie al quale è possibile l’indiscrezione riguardo all’indicibile che è probabilmente il lavoro stesso della filosofia»[1. Cfr. E. Lévinas, Altrimenti che essere, Jaca Book, Milano 2006 [AE], pp. 8-10.]. La filosofia, atea per sua stessa natura, aggrava il tradimento nei confronti dell’indicibile (vale a dire di Dio) proprio a causa della sua genuina volontà di sapere. Lungi dall’escluderla dal dominio della scienza ontologica, l’approccio arrogante che la filosofia mantiene nei riguardi della vera trascendenza è tale da indurla, in un modo o nell’altro, a mostrarsi, cioè ad entrare in un discorso per poter essere, finalmente, detta. Potremmo riassumere in questi termini la posizione che Lévinas assume nei riguardi della filosofia e della sua tâche, del suo compito. Ma perché secondo Lévinas il problema sarebbe “metodologico”? Il tradimento della filosofia nei confronti di Dio ha un senso univoco? Oppure il suo ateismo congenito offre un’altra prospettiva da cui guardare al problema della trascendenza assoluta e irrecuperabile? La questione non avrebbe senso e non meriterebbe nemmeno di essere posta se non si segnalasse, nella filosofia stessa, la possibilità di un’alternativa, ossia una relazione con la trascendenza che riesca a preservarne il senso senza neutralizzarne la dismisura. Come può la filosofia, mantenendosi tale, avvicinare l’indicibile trascendenza di Dio, descrivere lo «sconvolgimento semantico della parola Dio»[2. Cfr. E. Lévinas, AE, p. 190.]? Che cosa significa liberare la trascendenza «dai segni che la tematizzazione le imprime»? In altri termini: è possibile pensare un significato di Dio non subordinato all’ontologia?
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