Il titolo marxismo e storia ha un duplice significato: esso significa innanzitutto che la dottrina teoretica di Marx ha fatto storia nel mondo; esso significa al contempo però che Marx stesso ha pensato in termini storici. Questi due significati sono tanto diversi tra loro quanto sono diverse tra loro una teoria filosofica della storia universale e una prassi politico-universale; e tuttavia, in questo caso specifico, quello cioè del marxismo divenuto realtà storico-universale e della dottrina di Marx, i due significati si rinviano anche reciprocamente l’uno all’altro. Anche altri pensatori – si pensi a Bossuet e Vico, Spengler e Toynbee – hanno sviluppato teorie di filosofia della storia; non c’è però alcun vichismo o splenglerismo che sia paragonabile al marxismo; non c’è alcun movimento storico-universale che potrebbe arrogarsi la pretesa di mettere in pratica la filosofia della storia di Bossuet, Vico, Spengler e Toynbee. Per comprendere la differenza e il legame nel marxismo tra teoria della storia e prassi storica occorre quindi innanzitutto chiarire cosa si deve intendere per marxismo. Ciò però non può essere deciso arbitrariaramente. Bisogna orientarsi su ciò che oggettivamente viene inteso con questa parola. I marxismi di Lenin, di Stalin e di Mao Tse Tung possono essere anche molto diversi tra di loro, allo stesso modo possono essere molto differenti da ciò che Marx pensava e voleva; ciò non toglie, tuttavia, che il loro marxismo si orienta costantemente alla dottrina di Marx. Secondo il suo senso originario, quindi, il marxismo non può essere altro che la dottrina di Marx divenuta realtà storico-universale, e naturalmente l’intera sua dottrina. Ciò che fa della dottrina di Marx un tutto unitario non può essere però la somma dei suoi singoli elementi – alcuni dei quali, per altro, già da molto tempo contraddetti e superati – ma solo ciò che la rende un intero, l’intelaiatura che tutto connette e unifica. Questa unitarietà totale della dottrina di Marx, l’ambito che tutto tiene insieme, è una idea determinata di storia – e la fede in essa. Oggi noi tutti, all’est come all’ovest, pensiamo storicamente e siamo ingabbiati nel dogma moderno che il destino storico che ci capita in sorte coinvolga l’autentica essenza dell’uomo: da questo punto di vista la “cortina di ferro” è così trasparente che anche noi non avvertiamo più questo presupposto di un pensiero storico-totale e di un’esistenza essenzialmente storica in quanto presupposto. Come Hegel e i suoi epigoni borghesi, Marx non si muove nell’ambito del mondo naturale e di una natura sempre identica dell’uomo, bensì entro l’orizzonte della storia-universale e di una natura dell’uomo che storicamente muta. A differenza dei profeti borghesi della svolta dei tempi, però, Marx parla di una storia esistita finora e di un uomo esistito finora non soltanto in base ad un vago presentimento dell’avvenire e del futuro ma perché crede di conoscere con precisione quanto avverrà nell’avvenire e in futuro, e perché crede di potere far nascere socialmente l’uomo nuovo di una società interamente nuova in virtù di una critica radicale della realtà esistente e di un’azione rivoluzionaria. Il comunista della società senza classi è quest’«uomo nuovo» appartenente a un nuovo mondo storico, rispetto al quale tutta la storia fino a quel momento diventa una mera preistoria. È un comunista, cioè un uomo che vive e produce in modo comunitario, a differenza dell’uomo di classe borghese, che è un uomo avido perché crede si possa far proprio qualcosa o appropriarsi di qualcosa solo in quanto la si possiede come un avere, come proprietà privata e capitale. Il modo in cui l’individuo si appropria del suo ambiente mediante il lavoro è già però un processo storico. Parlare della storia per Marx vuol dire parlare della storia dei rapporti economici e sociali. La storia non concerne la vita privata di singoli singolarizzati ma la convivenza pubblica e comunitaria degli uomini. Tutta la storia comincia nell’atto stesso in cui l’uomo coltiva la natura e attraverso il lavoro produce i suoi mezzi di sussistenza – nel senso più ampio della parola – con ciò creando anche sé stesso. Ciò però presuppone una convivenza e una cooperazione tra gli uomini. La storia è sociale e «politica» nel senso originario delle parole polis e res publica.
Esporta un file formato BIB per Bebop, BibSonomy, BibTeX, Jumper 2.0, Pybliographer, Qiqqa…
TY - JOUR
A1 - Löwith, Karl
PY - 2011
TI - MARXISMO E STORIA
JO - Plemos
SN - 9788890413650/2281-9517
AB - Il titolo marxismo e storia ha un duplice significato: esso significa innanzitutto che la dottrina teoretica di Marx ha fatto storia nel mondo; esso significa al contempo però che Marx stesso ha pensato in termini storici. Questi due significati sono tanto diversi tra loro quanto sono diverse tra loro una teoria filosofica della storia universale e una prassi politico-universale; e tuttavia, in questo caso specifico, quello cioè del marxismo divenuto realtà storico-universale e della dottrina di Marx, i due significati si rinviano anche reciprocamente l’uno all’altro. Anche altri pensatori – si pensi a Bossuet e Vico, Spengler e Toynbee – hanno sviluppato teorie di filosofia della storia; non c’è però alcun vichismo o splenglerismo che sia paragonabile al marxismo; non c’è alcun movimento storico-universale che potrebbe arrogarsi la pretesa di mettere in pratica la filosofia della storia di Bossuet, Vico, Spengler e Toynbee. Per comprendere la differenza e il legame nel marxismo tra teoria della storia e prassi storica occorre quindi innanzitutto chiarire cosa si deve intendere per marxismo. Ciò però non può essere deciso arbitrariaramente. Bisogna orientarsi su ciò che oggettivamente viene inteso con questa parola. I marxismi di Lenin, di Stalin e di Mao Tse Tung possono essere anche molto diversi tra di loro, allo stesso modo possono essere molto differenti da ciò che Marx pensava e voleva; ciò non toglie, tuttavia, che il loro marxismo si orienta costantemente alla dottrina di Marx. Secondo il suo senso originario, quindi, il marxismo non può essere altro che la dottrina di Marx divenuta realtà storico-universale, e naturalmente l’intera sua dottrina. Ciò che fa della dottrina di Marx un tutto unitario non può essere però la somma dei suoi singoli elementi – alcuni dei quali, per altro, già da molto tempo contraddetti e superati – ma solo ciò che la rende un intero, l’intelaiatura che tutto connette e unifica. Questa unitarietà totale della dottrina di Marx, l’ambito che tutto tiene insieme, è una idea determinata di storia – e la fede in essa. Oggi noi tutti, all’est come all’ovest, pensiamo storicamente e siamo ingabbiati nel dogma moderno che il destino storico che ci capita in sorte coinvolga l’autentica essenza dell’uomo: da questo punto di vista la “cortina di ferro” è così trasparente che anche noi non avvertiamo più questo presupposto di un pensiero storico-totale e di un’esistenza essenzialmente storica in quanto presupposto. Come Hegel e i suoi epigoni borghesi, Marx non si muove nell’ambito del mondo naturale e di una natura sempre identica dell’uomo, bensì entro l’orizzonte della storia-universale e di una natura dell’uomo che storicamente muta. A differenza dei profeti borghesi della svolta dei tempi, però, Marx parla di una storia esistita finora e di un uomo esistito finora non soltanto in base ad un vago presentimento dell’avvenire e del futuro ma perché crede di conoscere con precisione quanto avverrà nell’avvenire e in futuro, e perché crede di potere far nascere socialmente l’uomo nuovo di una società interamente nuova in virtù di una critica radicale della realtà esistente e di un’azione rivoluzionaria. Il comunista della società senza classi è quest’«uomo nuovo» appartenente a un nuovo mondo storico, rispetto al quale tutta la storia fino a quel momento diventa una mera preistoria. È un comunista, cioè un uomo che vive e produce in modo comunitario, a differenza dell’uomo di classe borghese, che è un uomo avido perché crede si possa far proprio qualcosa o appropriarsi di qualcosa solo in quanto la si possiede come un avere, come proprietà privata e capitale. Il modo in cui l’individuo si appropria del suo ambiente mediante il lavoro è già però un processo storico. Parlare della storia per Marx vuol dire parlare della storia dei rapporti economici e sociali. La storia non concerne la vita privata di singoli singolarizzati ma la convivenza pubblica e comunitaria degli uomini. Tutta la storia comincia nell’atto stesso in cui l’uomo coltiva la natura e attraverso il lavoro produce i suoi mezzi di sussistenza – nel senso più ampio della parola – con ciò creando anche sé stesso. Ciò però presuppone una convivenza e una cooperazione tra gli uomini. La storia è sociale e «politica» nel senso originario delle parole polis e res publica.
SE - 4-5/2011
DA - 2011
KW - Marx KW - filosofia della storia KW - Löwith
UR - https://www.rivistapolemos.it/marxismo-e-storia/?lang=it
DO -
PB - Donzelli Editore
LA - it
SP - 146
EP - 156
ER -
@article{,
author = {Karl Löwith},
title = {MARXISMO E STORIA},
publisher = {Donzelli Editore},
year = {2011},
ISBN = {9788890413650},
issn = {2281-9517},
abstract = {Il titolo marxismo e storia ha un duplice significato: esso significa innanzitutto che la dottrina teoretica di Marx ha fatto storia nel mondo; esso significa al contempo però che Marx stesso ha pensato in termini storici. Questi due significati sono tanto diversi tra loro quanto sono diverse tra loro una teoria filosofica della storia universale e una prassi politico-universale; e tuttavia, in questo caso specifico, quello cioè del marxismo divenuto realtà storico-universale e della dottrina di Marx, i due significati si rinviano anche reciprocamente l’uno all’altro. Anche altri pensatori – si pensi a Bossuet e Vico, Spengler e Toynbee – hanno sviluppato teorie di filosofia della storia; non c’è però alcun vichismo o splenglerismo che sia paragonabile al marxismo; non c’è alcun movimento storico-universale che potrebbe arrogarsi la pretesa di mettere in pratica la filosofia della storia di Bossuet, Vico, Spengler e Toynbee. Per comprendere la differenza e il legame nel marxismo tra teoria della storia e prassi storica occorre quindi innanzitutto chiarire cosa si deve intendere per marxismo. Ciò però non può essere deciso arbitrariaramente. Bisogna orientarsi su ciò che oggettivamente viene inteso con questa parola. I marxismi di Lenin, di Stalin e di Mao Tse Tung possono essere anche molto diversi tra di loro, allo stesso modo possono essere molto differenti da ciò che Marx pensava e voleva; ciò non toglie, tuttavia, che il loro marxismo si orienta costantemente alla dottrina di Marx. Secondo il suo senso originario, quindi, il marxismo non può essere altro che la dottrina di Marx divenuta realtà storico-universale, e naturalmente l’intera sua dottrina. Ciò che fa della dottrina di Marx un tutto unitario non può essere però la somma dei suoi singoli elementi – alcuni dei quali, per altro, già da molto tempo contraddetti e superati – ma solo ciò che la rende un intero, l’intelaiatura che tutto connette e unifica. Questa unitarietà totale della dottrina di Marx, l’ambito che tutto tiene insieme, è una idea determinata di storia – e la fede in essa. Oggi noi tutti, all’est come all’ovest, pensiamo storicamente e siamo ingabbiati nel dogma moderno che il destino storico che ci capita in sorte coinvolga l’autentica essenza dell’uomo: da questo punto di vista la “cortina di ferro” è così trasparente che anche noi non avvertiamo più questo presupposto di un pensiero storico-totale e di un’esistenza essenzialmente storica in quanto presupposto. Come Hegel e i suoi epigoni borghesi, Marx non si muove nell’ambito del mondo naturale e di una natura sempre identica dell’uomo, bensì entro l’orizzonte della storia-universale e di una natura dell’uomo che storicamente muta. A differenza dei profeti borghesi della svolta dei tempi, però, Marx parla di una storia esistita finora e di un uomo esistito finora non soltanto in base ad un vago presentimento dell’avvenire e del futuro ma perché crede di conoscere con precisione quanto avverrà nell’avvenire e in futuro, e perché crede di potere far nascere socialmente l’uomo nuovo di una società interamente nuova in virtù di una critica radicale della realtà esistente e di un’azione rivoluzionaria. Il comunista della società senza classi è quest’«uomo nuovo» appartenente a un nuovo mondo storico, rispetto al quale tutta la storia fino a quel momento diventa una mera preistoria. È un comunista, cioè un uomo che vive e produce in modo comunitario, a differenza dell’uomo di classe borghese, che è un uomo avido perché crede si possa far proprio qualcosa o appropriarsi di qualcosa solo in quanto la si possiede come un avere, come proprietà privata e capitale. Il modo in cui l’individuo si appropria del suo ambiente mediante il lavoro è già però un processo storico. Parlare della storia per Marx vuol dire parlare della storia dei rapporti economici e sociali. La storia non concerne la vita privata di singoli singolarizzati ma la convivenza pubblica e comunitaria degli uomini. Tutta la storia comincia nell’atto stesso in cui l’uomo coltiva la natura e attraverso il lavoro produce i suoi mezzi di sussistenza – nel senso più ampio della parola – con ciò creando anche sé stesso. Ciò però presuppone una convivenza e una cooperazione tra gli uomini. La storia è sociale e «politica» nel senso originario delle parole polis e res publica.}
journal = {Pólemos},
number = {4-5/2011},
doi = {},
URL = {https://www.rivistapolemos.it/marxismo-e-storia/?lang=it},
keywords = {Marx; filosofia della storia; Löwith.},
pages = {146-156},
language = {it}
}