«Misurare oggi il lascito teoretico della Dialettica negativa di Adorno, la permanente e quindi anche attuale validità delle indicazioni che se ne possono trarre, è operazione tutt’altro che semplice»1. Questo incipit, con cui Stefano Petrucciani dà inizio al saggio introduttivo alla nuova edizione italiana della Dialettica negativa, invita – e allo stesso tempo ammonisce – a un confronto, seppur problematico, con l’opera più discussa di Adorno; confronto ulteriormente stimolato e rinnovato grazie a questa nuova edizione, che Einaudi ha pubblicato negli ultimi mesi del 2004, curata da Stefano Petrucciani e con una nuova traduzione di Pietro Lauro. La Negative Dialektik, scritta tra il 1959 e il 1966, esce per la prima volta in Germania nel novembre del 1966 per le edizioni Suhrkamp. Adorno coltivava da molto tempo l’idea di scrivere un libro di stampo teoretico sulla dialettica, un testo che rappresentasse la «summa» del suo pensiero; egli stesso ha definito la Dialettica negativa come la sua opera filosofica principale, costatagli un’enorme fatica intellettuale per la complessità tematica e l’esigenza di un linguaggio adeguato. Da subito viene considerata il compimento della sua opera filosofica, la testimonianza della continuità del suo pensiero: molte delle questioni fondamentali, come il concetto di «storia naturale», ripreso in «Lo spirito del mondo e la storia naturale»2, risalgono infatti agli anni Trenta, precedenti, dunque, anche alla Dialettica dell’illuminismo. Tuttavia, l’uscita della Dialettica negativa ha suscitato delle critiche anche molto serrate da parte di alcuni esponenti rilevanti del mondo culturale e filosofico del tempo: dopo l’entusiasmo iniziale, Gershom Scholem non ha nascosto ad Adorno le sue perplessità intorno al legame tra la «teoria critica» francofortese e quella materialistica. Anche Alfred Sohn-Rethel, dalla prospettiva opposta, in una lettera del dicembre 1966 chiede all’autore: la dialettica negativa non ha alcun rapporto con la trasformazione del mondo? Ricade tutto questo nella “natura affermativa” da cui “il libro vorrebbe liberare la dialettica”? Oppure le cose stanno così, che Lei non ritiene forse impossibili le necessarie trasformazioni del mondo, ma certamente il loro significato di “realizzazione della filosofia”? Allora, quindi, le forme del pensiero non sarebbero determinate dall’essere sociale e quindi saremmo ritornati all’idealismo dialettico?3. In effetti l’intenzione di Adorno, evidentemente presente già nel titolo, è di «liberare la dialettica da una siffatta essenza affermativa, senza perdere neanche un po’ di determinatezza»4. Nel considerare la tradizione che, da Platone a Hegel, ha usato la dialettica in modo da ottenere, attraverso la negazione, un risultato positivo, Adorno si riferisce anche «al marxismo ufficiale, che consiste in un certo tipo di positività»5. Lo scopo della Dialettica negativa è dunque restituire al momento del negativo quella matrice critica che il suo stesso concetto imporrebbe. In questo senso la Dialettica negativa incarna la concezione filosofica più radicata in Adorno, quella, cioè, di una «Logik des Zerfalls»: pensare dialetticamente significa per il francofortese pensare per contraddizioni, lasciare aperto il confronto tra concetto e cosa, eliminando la necessità di una conciliazione. La «logica della disgregazione» si rivolge infatti contro un metodo conoscitivo che «tende all’identità nella differenza di ogni oggetto dal suo concetto»6, obbligando l’oggetto a rispecchiarsi nel soggetto. La critica di Adorno si concentra e si riferisce ai sistemi filosofici, primo tra tutti l’idealismo tedesco – ma, in risposta alla critica di Sohn-Rethel, anche un certo tipo di materialismo – che si basano su un fondamento non criticabile, identitario, esente dalla contraddittorietà. A questo piano teoretico, su cui la Dialettica negativa si snoda, corrisponde specularmente un piano sociale e politico, quello della modernità, che mostra la medesima struttura di non equilibrio tra il particolare e l’universale. Critica del sistema filosofico e critica della società si fondono in Adorno a partire dal presupposto, già dispiegato nella Dialettica dell’illuminismo, che i rapporti sociali di dominio vanno di pari passo con quella teoria che incarna il trionfo del principio di identità attraverso il lavoro del concetto sul non- concettuale. Svelare la violenza dell’apparato categoriale filosofico e criticare il dominio sociale fanno tutt’uno nella filosofia adorniana: «la critica della società è critica della conoscenza, e viceversa»7. Nella Dialettica dell’illuminismo, scritta quasi trent’anni prima e nel periodo di emigrazione di Adorno e Horkheimer, il principale scopo era quello di comprendere le ragioni dell’incompleto processo di rischiaramento dell’umanità e della conseguente ricaduta nella barbarie8. Più o meno vent’anni dopo, la Dialettica negativa prende atto che «dopo che la filosofia non ha mantenuto la promessa di coincidere con la realtà o di accingersi a produrla, è costretta a criticare senza riguardi anche se stessa»9. Prendendo in prestito le parole del curatore di questa nuova edizione, possiamo dire che Adorno intraprende questa critica sapendo di essere «sul margine del paradosso»: l’intento del libro, ma si può anche dire di tutta la sua filosofia, è quello di liberare il non-concettuale, il non-identico, senza abbandonare la possibilità della conoscenza e senza negare che questa possa avere luogo solo attraverso quell’apparato categoriale che legittima il principio d’identità. Già nei Minima moralia, nell’aforisma intitolato «Eredità», Adorno afferma che il pensiero dialettico è il tentativo di spezzare il carattere coattivo della logica coi suoi stessi mezzi. Ma dovendo servirsi di questi mezzi, è continuamente in pericolo di cadere nella stessa coattività: l’astuzia della ragione potrebbe affermarsi anche contro la dialettica10. Dunque la dialettica è l’elemento capace di operare questa critica nei confronti della logica proprio per il suo essere interna ad essa; si delinea così il carattere di ambivalenza che Adorno attribuisce al pensiero dialettico. La Dialettica negativa è la volontà di esplicitare questa ambivalenza, pensando la dialettica come una presa d’atto del pensiero che
non deve più accontentarsi della sua legalità; è in grado di pensare contro se stesso senza buttarsi via; se fosse possibile una definizione di dialettica, si dovrebbe proporre questa. (…) La dialettica, quale modo filosofico di procedere, è il tentativo di districare con il più antico medium dell’Aufklärung, l’astuzia, il nodo di questa paradossalità11.
Il paradosso di cui Adorno parla si riscontra in primo luogo nel rapporto che intercorre tra il soggetto e l’oggetto: il soggetto in realtà ha bisogno dell’oggetto, del «fattuale, in particolare della società»12, per essere spiegato, ma, allo stesso tempo, l’oggettività necessita di una soggettività, del pensiero, per essere conosciuta. Ignorando questo rapporto di interdipendenza, la tradizione ha distinto l’universale dal particolare, dando al secondo l’impronta del primo: il rapporto dialettico di tali determinazioni è, da Platone a Hegel, tutto sbilanciato a favore dell’universale.
S. Petrucciani, Un pensiero sul margine del paradosso, introduzione a T.W. Adorno, Dialettica negativa, a cura di S. Petrucciani, trad. it. di P. Lauro, Einaudi, Torino 2004, p. XI. Questa nuova traduzione è accompagnata da un glossario, curato dallo stesso Lauro, estremamente utile per la comprensione delle parole chiave della terminologia filosofica adorniana. ↩
Il nucleo tematico di questo capitolo nasce da una conferenza tenuta dall’autore nel 1932 nella sezione francofortese della Kant-Gesellschaft; l’intervento è poi divenuto un saggio, Die Idee der Naturgeschichte, poco conosciuto in Italia fino all’inizio degli anni Settanta e tradotto ne «Il cannocchiale», II, n. 1-2, Roma 1977. ↩
T.W. Adorno – A. Sohn-Rethel, Carteggio 1936-1969, trad. it. di L. Garzone, Manifestolibri, Roma 2001, p. 166. ↩
Id., Su soggetto e oggetto, in Id., Parole chiave. Modelli critici, trad. it. di M. Agrati, Su- garCo, Milano 1974, p. 219. ↩
La Dialettica dell’illuminismo, edita per la prima volta nel 1947 e ripubblicata nel 1969, rappresenta un ulteriore segno della continuità e dell’attualità di molte delle problematiche filosofiche trattate. L’intento del libro era stato quello di capire le ragioni dell’«autodistruzione dell’illuminismo», con la consapevolezza che «la libertà nella società è inseparabile dal pensiero illuministico. (…) Il concetto stesso di questo pensiero, non meno delle forme storiche concrete, delle istituzioni sociali a cui è strettamente legato, implicano già il germe di quella regressione che oggi si verifica ovunque. Se l’illuminismo non accoglie in sé la coscienza di questo momento regressivo, firma la propria condanna». La necessità dei due autori è dunque quella di riattivare il movimento dialettico interno a questo pensiero, a partire dalla consapevolezza che il momento regressivo non è dato dai residui di irrazionalità propria del mito e, dunque, della natura, ma dalla lotta intrapresa dall’illuminismo contro di essi; il risultato di tale lotta, misura della mancata presa di coscienza che i concetti di natura e storia non sono contrapposti, è stata la ricaduta nella barbarie, nella chiusura e violenza contro la non-identità che, sconosciuta, genera terrore: è «l’illuminismo stesso paralizzato dalla paura della verità», dalla paura, cioè, di riconoscere al proprio interno elementi non razionali (M. Horkheimer – T.W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, trad. it. di R. Solmi, Einaudi, Torino 1997, pp. 5-6). ↩
Di Placido, Nicoletta."LA DIALETTICA NEGATIVA DI ADORNO. Hegel tra emancipazione e tradizione". PólemosI. 1. (2006): 250-265https://www.rivistapolemos.it/la-dialettica-negativa-di-adorno-hegel-tra-emancipazione-e-tradizione/?lang=it
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Di Placido, N.(2006). "LA DIALETTICA NEGATIVA DI ADORNO. Hegel tra emancipazione e tradizione". PólemosI. (1). 250-265https://www.rivistapolemos.it/la-dialettica-negativa-di-adorno-hegel-tra-emancipazione-e-tradizione/?lang=it
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Di Placido, Nicoletta.2006. "LA DIALETTICA NEGATIVA DI ADORNO. Hegel tra emancipazione e tradizione". PólemosI (1). Donzelli Editore: 250-265. https://www.rivistapolemos.it/la-dialettica-negativa-di-adorno-hegel-tra-emancipazione-e-tradizione/?lang=it
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Questo incipit, con cui Stefano Petrucciani dà inizio al saggio introduttivo alla nuova edizione italiana della Dialettica negativa, invita – e allo stesso tempo ammonisce – a un confronto, seppur problematico, con l’opera più discussa di Adorno; confronto ulteriormente stimolato e rinnovato grazie a questa nuova edizione, che Einaudi ha pubblicato negli ultimi mesi del 2004, curata da Stefano Petrucciani e con una nuova traduzione di Pietro Lauro. La Negative Dialektik, scritta tra il 1959 e il 1966, esce per la prima volta in Germania nel novembre del 1966 per le edizioni Suhrkamp. Adorno coltivava da molto tempo l’idea di scrivere un libro di stampo teoretico sulla dialettica, un testo che rappresentasse la «summa» del suo pensiero; egli stesso ha definito la Dialettica negativa come la sua opera filosofica principale, costatagli un’enorme fatica intellettuale per la complessità tematica e l’esigenza di un linguaggio adeguato. Da subito viene considerata il compimento della sua opera filosofica, la testimonianza della continuità del suo pensiero: molte delle questioni fondamentali, come il concetto di «storia naturale», ripreso in «Lo spirito del mondo e la storia naturale»[2. Il nucleo tematico di questo capitolo nasce da una conferenza tenuta dall’autore nel 1932 nella sezione francofortese della Kant-Gesellschaft; l’intervento è poi divenuto un saggio, Die Idee der Naturgeschichte, poco conosciuto in Italia fino all’inizio degli anni Settanta e tradotto ne «Il cannocchiale», II, n. 1-2, Roma 1977. ], risalgono infatti agli anni Trenta, precedenti, dunque, anche alla Dialettica dell’illuminismo. Tuttavia, l’uscita della Dialettica negativa ha suscitato delle critiche anche molto serrate da parte di alcuni esponenti rilevanti del mondo culturale e filosofico del tempo: dopo l’entusiasmo iniziale, Gershom Scholem non ha nascosto ad Adorno le sue perplessità intorno al legame tra la «teoria critica» francofortese e quella materialistica. Anche Alfred Sohn-Rethel, dalla prospettiva opposta, in una lettera del dicembre 1966 chiede all’autore: la dialettica negativa non ha alcun rapporto con la trasformazione del mondo? Ricade tutto questo nella “natura affermativa” da cui “il libro vorrebbe liberare la dialettica”? Oppure le cose stanno così, che Lei non ritiene forse impossibili le necessarie trasformazioni del mondo, ma certamente il loro significato di “realizzazione della filosofia”? Allora, quindi, le forme del pensiero non sarebbero determinate dall’essere sociale e quindi saremmo ritornati all’idealismo dialettico?[3. T.W. Adorno – A. Sohn-Rethel, Carteggio 1936-1969, trad. it. di L. Garzone, Manifestolibri, Roma 2001, p. 166.]. In effetti l’intenzione di Adorno, evidentemente presente già nel titolo, è di «liberare la dialettica da una siffatta essenza affermativa, senza perdere neanche un po’ di determinatezza»[4. T.W. Adorno, Dialettica negativa, cit., p. 3.]. Nel considerare la tradizione che, da Platone a Hegel, ha usato la dialettica in modo da ottenere, attraverso la negazione, un risultato positivo, Adorno si riferisce anche «al marxismo ufficiale, che consiste in un certo tipo di positività»[5. Lettera di risposta di Adorno a Sohn-Rethel, in T.W. Adorno – A. Sohn-Rethel, Carteggio 1936-1969, cit., p. 168.]. Lo scopo della Dialettica negativa è dunque restituire al momento del negativo quella matrice critica che il suo stesso concetto imporrebbe. In questo senso la Dialettica negativa incarna la concezione filosofica più radicata in Adorno, quella, cioè, di una «Logik des Zerfalls»: pensare dialetticamente significa per il francofortese pensare per contraddizioni, lasciare aperto il confronto tra concetto e cosa, eliminando la necessità di una conciliazione. La «logica della disgregazione» si rivolge infatti contro un metodo conoscitivo che «tende all’identità nella differenza di ogni oggetto dal suo concetto»[6. T.W. Adorno, Dialettica negativa, cit., p. 131. ], obbligando l’oggetto a rispecchiarsi nel soggetto. La critica di Adorno si concentra e si riferisce ai sistemi filosofici, primo tra tutti l’idealismo tedesco – ma, in risposta alla critica di Sohn-Rethel, anche un certo tipo di materialismo – che si basano su un fondamento non criticabile, identitario, esente dalla contraddittorietà. A questo piano teoretico, su cui la Dialettica negativa si snoda, corrisponde specularmente un piano sociale e politico, quello della modernità, che mostra la medesima struttura di non equilibrio tra il particolare e l’universale. Critica del sistema filosofico e critica della società si fondono in Adorno a partire dal presupposto, già dispiegato nella Dialettica dell’illuminismo, che i rapporti sociali di dominio vanno di pari passo con quella teoria che incarna il trionfo del principio di identità attraverso il lavoro del concetto sul non- concettuale. Svelare la violenza dell’apparato categoriale filosofico e criticare il dominio sociale fanno tutt’uno nella filosofia adorniana: «la critica della società è critica della conoscenza, e viceversa»[7. Id., Su soggetto e oggetto, in Id., Parole chiave. Modelli critici, trad. it. di M. Agrati, Su- garCo, Milano 1974, p. 219.]. Nella Dialettica dell’illuminismo, scritta quasi trent’anni prima e nel periodo di emigrazione di Adorno e Horkheimer, il principale scopo era quello di comprendere le ragioni dell’incompleto processo di rischiaramento dell’umanità e della conseguente ricaduta nella barbarie[8. La Dialettica dell’illuminismo, edita per la prima volta nel 1947 e ripubblicata nel 1969, rappresenta un ulteriore segno della continuità e dell’attualità di molte delle problematiche filosofiche trattate. L’intento del libro era stato quello di capire le ragioni dell’«autodistruzione dell’illuminismo», con la consapevolezza che «la libertà nella società è inseparabile dal pensiero illuministico. (...) Il concetto stesso di questo pensiero, non meno delle forme storiche concrete, delle istituzioni sociali a cui è strettamente legato, implicano già il germe di quella regressione che oggi si verifica ovunque. Se l’illuminismo non accoglie in sé la coscienza di questo momento regressivo, firma la propria condanna». La necessità dei due autori è dunque quella di riattivare il movimento dialettico interno a questo pensiero, a partire dalla consapevolezza che il momento regressivo non è dato dai residui di irrazionalità propria del mito e, dunque, della natura, ma dalla lotta intrapresa dall’illuminismo contro di essi; il risultato di tale lotta, misura della mancata presa di coscienza che i concetti di natura e storia non sono contrapposti, è stata la ricaduta nella barbarie, nella chiusura e violenza contro la non-identità che, sconosciuta, genera terrore: è «l’illuminismo stesso paralizzato dalla paura della verità», dalla paura, cioè, di riconoscere al proprio interno elementi non razionali (M. Horkheimer – T.W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, trad. it. di R. Solmi, Einaudi, Torino 1997, pp. 5-6).]. Più o meno vent’anni dopo, la Dialettica negativa prende atto che «dopo che la filosofia non ha mantenuto la promessa di coincidere con la realtà o di accingersi a produrla, è costretta a criticare senza riguardi anche se stessa»[9. T.W. Adorno, Dialettica negativa, cit., p. 5.]. Prendendo in prestito le parole del curatore di questa nuova edizione, possiamo dire che Adorno intraprende questa critica sapendo di essere «sul margine del paradosso»: l’intento del libro, ma si può anche dire di tutta la sua filosofia, è quello di liberare il non-concettuale, il non-identico, senza abbandonare la possibilità della conoscenza e senza negare che questa possa avere luogo solo attraverso quell’apparato categoriale che legittima il principio d’identità. Già nei Minima moralia, nell’aforisma intitolato «Eredità», Adorno afferma che il pensiero dialettico è il tentativo di spezzare il carattere coattivo della logica coi suoi stessi mezzi. Ma dovendo servirsi di questi mezzi, è continuamente in pericolo di cadere nella stessa coattività: l’astuzia della ragione potrebbe affermarsi anche contro la dialettica[10. Id., Minima moralia. Meditazioni sulla vita offesa, trad. it. di R. Solmi, Einaudi, Torino 1979, § 98, p. 177.]. Dunque la dialettica è l’elemento capace di operare questa critica nei confronti della logica proprio per il suo essere interna ad essa; si delinea così il carattere di ambivalenza che Adorno attribuisce al pensiero dialettico. La Dialettica negativa è la volontà di esplicitare questa ambivalenza, pensando la dialettica come una presa d’atto del pensiero che
non deve più accontentarsi della sua legalità; è in grado di pensare contro se stesso senza buttarsi via; se fosse possibile una definizione di dialettica, si dovrebbe proporre questa. (...) La dialettica, quale modo filosofico di procedere, è il tentativo di districare con il più antico medium dell’Aufklärung, l’astuzia, il nodo di questa paradossalità[11. Id., Dialettica negativa, cit., p. 128.].
Il paradosso di cui Adorno parla si riscontra in primo luogo nel rapporto che intercorre tra il soggetto e l’oggetto: il soggetto in realtà ha bisogno dell’oggetto, del «fattuale, in particolare della società»[12. Ibidem.], per essere spiegato, ma, allo stesso tempo, l’oggettività necessita di una soggettività, del pensiero, per essere conosciuta. Ignorando questo rapporto di interdipendenza, la tradizione ha distinto l’universale dal particolare, dando al secondo l’impronta del primo: il rapporto dialettico di tali determinazioni è, da Platone a Hegel, tutto sbilanciato a favore dell’universale.
SE - 1/2006
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Questo incipit, con cui Stefano Petrucciani dà inizio al saggio introduttivo alla nuova edizione italiana della Dialettica negativa, invita – e allo stesso tempo ammonisce – a un confronto, seppur problematico, con l’opera più discussa di Adorno; confronto ulteriormente stimolato e rinnovato grazie a questa nuova edizione, che Einaudi ha pubblicato negli ultimi mesi del 2004, curata da Stefano Petrucciani e con una nuova traduzione di Pietro Lauro. La Negative Dialektik, scritta tra il 1959 e il 1966, esce per la prima volta in Germania nel novembre del 1966 per le edizioni Suhrkamp. Adorno coltivava da molto tempo l’idea di scrivere un libro di stampo teoretico sulla dialettica, un testo che rappresentasse la «summa» del suo pensiero; egli stesso ha definito la Dialettica negativa come la sua opera filosofica principale, costatagli un’enorme fatica intellettuale per la complessità tematica e l’esigenza di un linguaggio adeguato. Da subito viene considerata il compimento della sua opera filosofica, la testimonianza della continuità del suo pensiero: molte delle questioni fondamentali, come il concetto di «storia naturale», ripreso in «Lo spirito del mondo e la storia naturale»[2. Il nucleo tematico di questo capitolo nasce da una conferenza tenuta dall’autore nel 1932 nella sezione francofortese della Kant-Gesellschaft; l’intervento è poi divenuto un saggio, Die Idee der Naturgeschichte, poco conosciuto in Italia fino all’inizio degli anni Settanta e tradotto ne «Il cannocchiale», II, n. 1-2, Roma 1977. ], risalgono infatti agli anni Trenta, precedenti, dunque, anche alla Dialettica dell’illuminismo. Tuttavia, l’uscita della Dialettica negativa ha suscitato delle critiche anche molto serrate da parte di alcuni esponenti rilevanti del mondo culturale e filosofico del tempo: dopo l’entusiasmo iniziale, Gershom Scholem non ha nascosto ad Adorno le sue perplessità intorno al legame tra la «teoria critica» francofortese e quella materialistica. Anche Alfred Sohn-Rethel, dalla prospettiva opposta, in una lettera del dicembre 1966 chiede all’autore: la dialettica negativa non ha alcun rapporto con la trasformazione del mondo? Ricade tutto questo nella “natura affermativa” da cui “il libro vorrebbe liberare la dialettica”? Oppure le cose stanno così, che Lei non ritiene forse impossibili le necessarie trasformazioni del mondo, ma certamente il loro significato di “realizzazione della filosofia”? Allora, quindi, le forme del pensiero non sarebbero determinate dall’essere sociale e quindi saremmo ritornati all’idealismo dialettico?[3. T.W. Adorno – A. Sohn-Rethel, Carteggio 1936-1969, trad. it. di L. Garzone, Manifestolibri, Roma 2001, p. 166.]. In effetti l’intenzione di Adorno, evidentemente presente già nel titolo, è di «liberare la dialettica da una siffatta essenza affermativa, senza perdere neanche un po’ di determinatezza»[4. T.W. Adorno, Dialettica negativa, cit., p. 3.]. Nel considerare la tradizione che, da Platone a Hegel, ha usato la dialettica in modo da ottenere, attraverso la negazione, un risultato positivo, Adorno si riferisce anche «al marxismo ufficiale, che consiste in un certo tipo di positività»[5. Lettera di risposta di Adorno a Sohn-Rethel, in T.W. Adorno – A. Sohn-Rethel, Carteggio 1936-1969, cit., p. 168.]. Lo scopo della Dialettica negativa è dunque restituire al momento del negativo quella matrice critica che il suo stesso concetto imporrebbe. In questo senso la Dialettica negativa incarna la concezione filosofica più radicata in Adorno, quella, cioè, di una «Logik des Zerfalls»: pensare dialetticamente significa per il francofortese pensare per contraddizioni, lasciare aperto il confronto tra concetto e cosa, eliminando la necessità di una conciliazione. La «logica della disgregazione» si rivolge infatti contro un metodo conoscitivo che «tende all’identità nella differenza di ogni oggetto dal suo concetto»[6. T.W. Adorno, Dialettica negativa, cit., p. 131. ], obbligando l’oggetto a rispecchiarsi nel soggetto. La critica di Adorno si concentra e si riferisce ai sistemi filosofici, primo tra tutti l’idealismo tedesco – ma, in risposta alla critica di Sohn-Rethel, anche un certo tipo di materialismo – che si basano su un fondamento non criticabile, identitario, esente dalla contraddittorietà. A questo piano teoretico, su cui la Dialettica negativa si snoda, corrisponde specularmente un piano sociale e politico, quello della modernità, che mostra la medesima struttura di non equilibrio tra il particolare e l’universale. Critica del sistema filosofico e critica della società si fondono in Adorno a partire dal presupposto, già dispiegato nella Dialettica dell’illuminismo, che i rapporti sociali di dominio vanno di pari passo con quella teoria che incarna il trionfo del principio di identità attraverso il lavoro del concetto sul non- concettuale. Svelare la violenza dell’apparato categoriale filosofico e criticare il dominio sociale fanno tutt’uno nella filosofia adorniana: «la critica della società è critica della conoscenza, e viceversa»[7. Id., Su soggetto e oggetto, in Id., Parole chiave. Modelli critici, trad. it. di M. Agrati, Su- garCo, Milano 1974, p. 219.]. Nella Dialettica dell’illuminismo, scritta quasi trent’anni prima e nel periodo di emigrazione di Adorno e Horkheimer, il principale scopo era quello di comprendere le ragioni dell’incompleto processo di rischiaramento dell’umanità e della conseguente ricaduta nella barbarie[8. La Dialettica dell’illuminismo, edita per la prima volta nel 1947 e ripubblicata nel 1969, rappresenta un ulteriore segno della continuità e dell’attualità di molte delle problematiche filosofiche trattate. L’intento del libro era stato quello di capire le ragioni dell’«autodistruzione dell’illuminismo», con la consapevolezza che «la libertà nella società è inseparabile dal pensiero illuministico. (...) Il concetto stesso di questo pensiero, non meno delle forme storiche concrete, delle istituzioni sociali a cui è strettamente legato, implicano già il germe di quella regressione che oggi si verifica ovunque. Se l’illuminismo non accoglie in sé la coscienza di questo momento regressivo, firma la propria condanna». La necessità dei due autori è dunque quella di riattivare il movimento dialettico interno a questo pensiero, a partire dalla consapevolezza che il momento regressivo non è dato dai residui di irrazionalità propria del mito e, dunque, della natura, ma dalla lotta intrapresa dall’illuminismo contro di essi; il risultato di tale lotta, misura della mancata presa di coscienza che i concetti di natura e storia non sono contrapposti, è stata la ricaduta nella barbarie, nella chiusura e violenza contro la non-identità che, sconosciuta, genera terrore: è «l’illuminismo stesso paralizzato dalla paura della verità», dalla paura, cioè, di riconoscere al proprio interno elementi non razionali (M. Horkheimer – T.W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, trad. it. di R. Solmi, Einaudi, Torino 1997, pp. 5-6).]. Più o meno vent’anni dopo, la Dialettica negativa prende atto che «dopo che la filosofia non ha mantenuto la promessa di coincidere con la realtà o di accingersi a produrla, è costretta a criticare senza riguardi anche se stessa»[9. T.W. Adorno, Dialettica negativa, cit., p. 5.]. Prendendo in prestito le parole del curatore di questa nuova edizione, possiamo dire che Adorno intraprende questa critica sapendo di essere «sul margine del paradosso»: l’intento del libro, ma si può anche dire di tutta la sua filosofia, è quello di liberare il non-concettuale, il non-identico, senza abbandonare la possibilità della conoscenza e senza negare che questa possa avere luogo solo attraverso quell’apparato categoriale che legittima il principio d’identità. Già nei Minima moralia, nell’aforisma intitolato «Eredità», Adorno afferma che il pensiero dialettico è il tentativo di spezzare il carattere coattivo della logica coi suoi stessi mezzi. Ma dovendo servirsi di questi mezzi, è continuamente in pericolo di cadere nella stessa coattività: l’astuzia della ragione potrebbe affermarsi anche contro la dialettica[10. Id., Minima moralia. Meditazioni sulla vita offesa, trad. it. di R. Solmi, Einaudi, Torino 1979, § 98, p. 177.]. Dunque la dialettica è l’elemento capace di operare questa critica nei confronti della logica proprio per il suo essere interna ad essa; si delinea così il carattere di ambivalenza che Adorno attribuisce al pensiero dialettico. La Dialettica negativa è la volontà di esplicitare questa ambivalenza, pensando la dialettica come una presa d’atto del pensiero che
non deve più accontentarsi della sua legalità; è in grado di pensare contro se stesso senza buttarsi via; se fosse possibile una definizione di dialettica, si dovrebbe proporre questa. (...) La dialettica, quale modo filosofico di procedere, è il tentativo di districare con il più antico medium dell’Aufklärung, l’astuzia, il nodo di questa paradossalità[11. Id., Dialettica negativa, cit., p. 128.].
Il paradosso di cui Adorno parla si riscontra in primo luogo nel rapporto che intercorre tra il soggetto e l’oggetto: il soggetto in realtà ha bisogno dell’oggetto, del «fattuale, in particolare della società»[12. Ibidem.], per essere spiegato, ma, allo stesso tempo, l’oggettività necessita di una soggettività, del pensiero, per essere conosciuta. Ignorando questo rapporto di interdipendenza, la tradizione ha distinto l’universale dal particolare, dando al secondo l’impronta del primo: il rapporto dialettico di tali determinazioni è, da Platone a Hegel, tutto sbilanciato a favore dell’universale.}
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