«Si può dire che è filosofica qualunque «scienza» (e quindi ogni “scienza” o, se si preferisce, la “Scienza”) che parli non soltanto di ciò di cui parla, ma anche del fatto che ne parla e che ne parla essa. Viceversa, ogni discorso che non parla di se stesso (come di un discorso) si colloca in questo modo al di fuori della Filosofia e può vivere indefinitamente in pace con essa ignorandola completamente…o, se si preferisce: la Filosofia respinge tutto ciò che si dice senza prendere discorsivamente coscienza, né rendere discorsivamente conto, di ciò che si fa dicendolo, o di ciò che si è in sé nella misura in cui lo si dice».
(A. Kojève, Introduzione al sistema del sapere. Il Concetto e il Tempo, pp. 39-41)
In un saggio pubblicato in onore di Leo Strauss, “L’imperatore Giuliano e l’arte della scrittura”, Kojève riconosce al filosofo tedesco il merito di aver riscoperto l’antica arte della scrittura, che consiste nel mascherare il proprio autentico pensiero, affermando apertamente il contrario di ciò che si pensa. In tale saggio l’autore dichiara: «Quest’arte della scrittura era anche un’arte del gioco, non fosse altro che con se stessi; l’autore si poneva nel ben noto atteggiamento “ironico” che si esprime con la locuzione “a buon intenditor poche parole”. Comunque sia, l’arte della scrittura in questione esige come completamento necessario l’arte di leggere fra le righe, assai negletta da un po’ di tempo a questa parte»1. Seppur rivolte all’imperatore Giuliano – che, secondo Kojève, di tale tecnica letteraria fu maestro – queste parole possono essere considerate una sorta di dichiarazione di intenti, peculiare manifesto filosofico di un’arte che lo stesso autore russo esercitò nel corso della sua vita.
A. Kojève, L’imperatore Giuliano e l’arte della scrittura, in Il silenzio della tirannide, a cura di A. Gnoli, Adelphi, Milano 2004, p. 72. ↩
Tortorella, Sabina."IL FINE DELLA STORIA IN ALEXANDRE KOJÈVE. Un programma tra filosofia e politica". PólemosVI. 4-5. (2011): 263-285https://www.rivistapolemos.it/il-fine-della-storia-in-alexandre-kojeve-un-programma-tra-filosofia-e-politica/?lang=it
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Tortorella, S.(2011). "IL FINE DELLA STORIA IN ALEXANDRE KOJÈVE. Un programma tra filosofia e politica". PólemosVI. (4-5). 263-285https://www.rivistapolemos.it/il-fine-della-storia-in-alexandre-kojeve-un-programma-tra-filosofia-e-politica/?lang=it
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Tortorella, Sabina.2011. "IL FINE DELLA STORIA IN ALEXANDRE KOJÈVE. Un programma tra filosofia e politica". PólemosVI (4-5). Donzelli Editore: 263-285. https://www.rivistapolemos.it/il-fine-della-storia-in-alexandre-kojeve-un-programma-tra-filosofia-e-politica/?lang=it
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TY - JOUR
A1 - Tortorella, Sabina
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TI - IL FINE DELLA STORIA IN ALEXANDRE KOJÈVE. Un programma tra filosofia e politica
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(A. Kojève, Introduzione al sistema del sapere. Il Concetto e il Tempo, pp. 39-41)
In un saggio pubblicato in onore di Leo Strauss, “L’imperatore Giuliano e l’arte della scrittura”, Kojève riconosce al filosofo tedesco il merito di aver riscoperto l’antica arte della scrittura, che consiste nel mascherare il proprio autentico pensiero, affermando apertamente il contrario di ciò che si pensa. In tale saggio l’autore dichiara: «Quest’arte della scrittura era anche un’arte del gioco, non fosse altro che con se stessi; l’autore si poneva nel ben noto atteggiamento “ironico” che si esprime con la locuzione “a buon intenditor poche parole”. Comunque sia, l’arte della scrittura in questione esige come completamento necessario l’arte di leggere fra le righe, assai negletta da un po’ di tempo a questa parte»[1. A. Kojève, L’imperatore Giuliano e l'arte della scrittura, in Il silenzio della tirannide, a cura di A. Gnoli, Adelphi, Milano 2004, p. 72.]. Seppur rivolte all’imperatore Giuliano – che, secondo Kojève, di tale tecnica letteraria fu maestro – queste parole possono essere considerate una sorta di dichiarazione di intenti, peculiare manifesto filosofico di un’arte che lo stesso autore russo esercitò nel corso della sua vita.
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(A. Kojève, Introduzione al sistema del sapere. Il Concetto e il Tempo, pp. 39-41)
In un saggio pubblicato in onore di Leo Strauss, “L’imperatore Giuliano e l’arte della scrittura”, Kojève riconosce al filosofo tedesco il merito di aver riscoperto l’antica arte della scrittura, che consiste nel mascherare il proprio autentico pensiero, affermando apertamente il contrario di ciò che si pensa. In tale saggio l’autore dichiara: «Quest’arte della scrittura era anche un’arte del gioco, non fosse altro che con se stessi; l’autore si poneva nel ben noto atteggiamento “ironico” che si esprime con la locuzione “a buon intenditor poche parole”. Comunque sia, l’arte della scrittura in questione esige come completamento necessario l’arte di leggere fra le righe, assai negletta da un po’ di tempo a questa parte»[1. A. Kojève, L’imperatore Giuliano e l'arte della scrittura, in Il silenzio della tirannide, a cura di A. Gnoli, Adelphi, Milano 2004, p. 72.]. Seppur rivolte all’imperatore Giuliano – che, secondo Kojève, di tale tecnica letteraria fu maestro – queste parole possono essere considerate una sorta di dichiarazione di intenti, peculiare manifesto filosofico di un’arte che lo stesso autore russo esercitò nel corso della sua vita.}
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