Abstract
Questo articolo esamina come Fichte, attraverso una concezione sociale della ragione e dell’autocoscienza arrivi a proporre una nuova teoria della natura e dell’origine della capacità linguistica. Per dimostrare ciò, confronterò gli aspetti più significativi del suo saggio del 1795 Sulla capacità scientifica e sull’origine del linguaggio con alcuni precedenti trattati di Condillac e Herder sullo stesso tema. Attraverso questo confronto, isolerò due tesi in Herder e Condillac che rispettivamente trattano (i) la natura sui generis del linguaggio e della ragione (che implica una radicale discontinuità rispetto alle capacità animali) e (ii) il requisito che ragione e linguaggio vengano sviluppati appropriatamente all’interno di contesti sociali e di comunicazione. Ciascuno di questi autori mantiene una delle due tesi a scapito dell’altra. Condillac concepisce la lingua come radicata nei versi involontari degli animali, richiedendo uno sviluppo socialmente mediato per poter diventare una capacità razionale di impiegare liberamente segni arbitrari. Herder rifiuta la continuità fra le grida animali e la lingua umana, e concepisce la capacità linguistica come un modo essenzialmente privato di usare segni identificabili mediante l’attenzione appercettiva. Questa lingua privata riposa soltanto alla capacità basilare della ragione e non esige nessun ulteriore sviluppo. Fichte è interessato a conservare gli aspetti sui generis delle capacità razionali che includono il linguaggio ma, in linea con il suo modello sociale dell’autocoscienza, crede che anche il linguaggio debba essere sviluppato attraverso l’interazione tra gli attori in contesti comunicativi. Io sostengo che Fichte sposi entrambe le tesi sopra menzionate e presenti una teoria della competenza linguistica che è basata su un modello indefinito ma altamente suggestivo di attenzione condivisa che si sviluppa in accordo con gli impulsi sociali.