Vivere e ritornare a vivere;
ma su ciò non si dà nessuna regola.
(G.F.W. HEGEL, Grundkonzept
zum Geist des Christentums)
Fuori dal circuito accademico, dalle università e dagli istituti di ricerca specializzati, Hegel è oggi indubbiamente detestato. Prendiamo un giovane intellettuale, e immaginiamolo impegnato nella comprensione critica della società contemporanea: l’opera hegeliana gli apparirà facilmente come un arrogante e superato sistema di giustificazione delle cose del mondo. Spinge a questa percezione il sentire culturale diffuso del nostro tempo: quella che potremmo definire la «koiné» filosofica post-ideologica e post-novecentesca. E, ovviamente, a essere coinvolto nella diffidenza e nel disinteresse è soprattutto il lato etico-morale della sistematica hegeliana, che (come sempre in periodi di transizione) è visto quale banco di prova, o cartina di tornasole, dell’intonazione generale di una filosofia. Le accuse sono le solite, ma rafforzate dalla smagata egemonia dei pensieri dell’alterità e della differenza. Hegel rappresenterebbe un abnorme punto di incontro fra l’istanza del più vieto realismo e quella della più sfacciata teodicea. La «mésalliance» si consumerebbe nella dimensione della storia, che la filosofia hegeliana feticizzerebbe senza scrupoli, elevandola a tribunale inappellabile delle battaglie in essa prodottesi e delle alternative etico-morali da essa consumate. L’individuo, in questo contesto, non può che apparire come mero strumento del cammino di quello spirito del mondo la cui ragione si afferma nella storia a dispetto dei dilemmi (più nobili o meschini) tipici della coscienza soggettiva. Hegel del resto sostiene tale cruda concezione in numerosi e incontrovertibili passi delle sue opere più note, non tralasciando mai di burlarsi di sognatori o ribelli intempestivi. È dunque logico che il nostro giovane studioso, rimpinzato di decostruzionismo o di post-strutturalismo foucaultiano, legga con preoccupato stupore le ripetute descrizioni della potenza della storia a cui volentieri il filosofo di Stoccarda si abbandona. E a nulla varrà l’esibizione di passi ruffiani, come quelli che ancora infiammavano il Marx maturo degli anni ‘60 del XIX secolo1, giacché il secondo Heidegger è lì apposta per far giutizia delle favole umanistiche. Chi infatti, nell’epoca del «Gestell», può ancora commuoversi su pagine in cui perfino il male è definito «qualcosa di infinitamente superiore al cammino, Vivere e ritornare a vivere; ma su ciò non si dà nessuna regola. (G.F.W. HEGEL, Grundkonzept zum Geist des Christentums) conforme a leggi, degli astri, o all’innocenza della pianta; poiché chi così sbaglia, è ancora spirito»2? Eppure è sufficiente rivolgersi alla Fenomenologia dello spirito per accorgersi che il quadro della filosofia hegeliana è molto più mosso e problematico di quanto non appaia a prima vista, e molto più interessante anche e soprattutto per ciò che concerne la dimensione etico-morale. La lotta per il riconoscimento, il ciclo dell’autocoscienza, le figure della eticità classica e la critica all’anima bella sono solo gli esempi più noti di uno svolgimento teorico che attinge impudico il sapere assoluto, ma organizza una tale scalata, come è scritto nell’introduzione all’opera, attraverso la via del dubbio e della disperazione. Hegel prende sul serio la coscienza e le sue vicissitudini. Come tutti i più grandi interpreti sanno, la progressione verso il sistema della scienza non è un trionfale cammino di dottrine che si succedono in base a prevedibili falsificazioni teoriche, ma una catena di «esperienze» che implicano discordia, spargono ferite, logorano progetti individuali e collettivi. L’etica hegeliana ha qui il suo inesauribile magazzino di argomenti. E questo magazzino ha una sua storia.
Cfr. P. Lafargue, Persönliche Erinnerungen an Karl Marx, in «Die Neue Zeit», IX, Bd. 1, S. 1-2, Stuttgart 1890-91, pp. 10-32; 37-53; trad. it. Ricordi personali, in Aa.Vv., Ricordi su Marx, Roma 1951, pp. 41-59. ↩
G.W.F. Hegel, Enzyclopädie der philosophischen Wissenshaften im Grundrisse, Hamburg 1975; trad. it. di V. Verra, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Torino 2002, § 248, nota, vol. II, p. 95. ↩
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TY - JOUR
A1 - Cassetta, Paolo
PY - 2006
TI - Capire Nazareth
JO - Plemos
SN - 88-901301-0-5/2281-9517
AB - Vivere e ritornare a vivere;
ma su ciò non si dà nessuna regola.
(G.F.W. HEGEL, Grundkonzept
zum Geist des Christentums)
Fuori dal circuito accademico, dalle università e dagli istituti di ricerca specializzati, Hegel è oggi indubbiamente detestato. Prendiamo un giovane intellettuale, e immaginiamolo impegnato nella comprensione critica della società contemporanea: l’opera hegeliana gli apparirà facilmente come un arrogante e superato sistema di giustificazione delle cose del mondo. Spinge a questa percezione il sentire culturale diffuso del nostro tempo: quella che potremmo definire la «koiné» filosofica post-ideologica e post-novecentesca. E, ovviamente, a essere coinvolto nella diffidenza e nel disinteresse è soprattutto il lato etico-morale della sistematica hegeliana, che (come sempre in periodi di transizione) è visto quale banco di prova, o cartina di tornasole, dell’intonazione generale di una filosofia. Le accuse sono le solite, ma rafforzate dalla smagata egemonia dei pensieri dell’alterità e della differenza. Hegel rappresenterebbe un abnorme punto di incontro fra l’istanza del più vieto realismo e quella della più sfacciata teodicea. La «mésalliance» si consumerebbe nella dimensione della storia, che la filosofia hegeliana feticizzerebbe senza scrupoli, elevandola a tribunale inappellabile delle battaglie in essa prodottesi e delle alternative etico-morali da essa consumate. L’individuo, in questo contesto, non può che apparire come mero strumento del cammino di quello spirito del mondo la cui ragione si afferma nella storia a dispetto dei dilemmi (più nobili o meschini) tipici della coscienza soggettiva. Hegel del resto sostiene tale cruda concezione in numerosi e incontrovertibili passi delle sue opere più note, non tralasciando mai di burlarsi di sognatori o ribelli intempestivi. È dunque logico che il nostro giovane studioso, rimpinzato di decostruzionismo o di post-strutturalismo foucaultiano, legga con preoccupato stupore le ripetute descrizioni della potenza della storia a cui volentieri il filosofo di Stoccarda si abbandona. E a nulla varrà l’esibizione di passi ruffiani, come quelli che ancora infiammavano il Marx maturo degli anni ‘60 del XIX secolo[1. Cfr. P. Lafargue, Persönliche Erinnerungen an Karl Marx, in «Die Neue Zeit», IX, Bd. 1, S. 1-2, Stuttgart 1890-91, pp. 10-32; 37-53; trad. it. Ricordi personali, in Aa.Vv., Ricordi su Marx, Roma 1951, pp. 41-59.], giacché il secondo Heidegger è lì apposta per far giutizia delle favole umanistiche. Chi infatti, nell’epoca del «Gestell», può ancora commuoversi su pagine in cui perfino il male è definito «qualcosa di infinitamente superiore al cammino, Vivere e ritornare a vivere; ma su ciò non si dà nessuna regola. (G.F.W. HEGEL, Grundkonzept zum Geist des Christentums) conforme a leggi, degli astri, o all’innocenza della pianta; poiché chi così sbaglia, è ancora spirito»[2. G.W.F. Hegel, Enzyclopädie der philosophischen Wissenshaften im Grundrisse, Hamburg 1975; trad. it. di V. Verra, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Torino 2002, § 248, nota, vol. II, p. 95.]? Eppure è sufficiente rivolgersi alla Fenomenologia dello spirito per accorgersi che il quadro della filosofia hegeliana è molto più mosso e problematico di quanto non appaia a prima vista, e molto più interessante anche e soprattutto per ciò che concerne la dimensione etico-morale. La lotta per il riconoscimento, il ciclo dell’autocoscienza, le figure della eticità classica e la critica all’anima bella sono solo gli esempi più noti di uno svolgimento teorico che attinge impudico il sapere assoluto, ma organizza una tale scalata, come è scritto nell’introduzione all’opera, attraverso la via del dubbio e della disperazione. Hegel prende sul serio la coscienza e le sue vicissitudini. Come tutti i più grandi interpreti sanno, la progressione verso il sistema della scienza non è un trionfale cammino di dottrine che si succedono in base a prevedibili falsificazioni teoriche, ma una catena di «esperienze» che implicano discordia, spargono ferite, logorano progetti individuali e collettivi. L’etica hegeliana ha qui il suo inesauribile magazzino di argomenti. E questo magazzino ha una sua storia.
SE - 1/2006
DA - 2006
KW - Hegel KW - giovane Hegel KW - filosofia morale
UR - https://www.rivistapolemos.it/capire-nazareth/?lang=it
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