Invece di molte parole, a mo’ di introduzione, il Prometeo incatenato. Primo episodio, Kratos e Bia, il Potere e la Violenza, sgherri di Zeus, accompagnano Efesto che porta con sé le catena con cui sarà legato Prometeo. Siamo nella Scizia solitaria, “l’estrema plaga della terra”. Prometeo sconta la pena inflittagli da Zeus, per avere rubato il fuoco agli dei, averlo nascosto nel cavo di una canna e consegnato agli uomini. Invitato dal coro a gridare il suo racconto, a rivelare come “ebbe inizio l’odio degli dei”, Prometeo racconta come Zeus, anche grazie al suo consiglio, si fosse seduto sul trono del padre Crono, e come poi, preso il potere, avesse distribuito i privilegi fra tutti gli dei, escludendo i mortali. “Nessuno gli si oppose, tranne me – è la rivendicazione di Prometeo –. Io l’osai. E liberai i mortali dall’essere dispersi nella morte”. In che modo Prometeo liberò i mortali è detto poco dopo: “Spensi all’uomo la vista della morte”. Il pharmakon distribuito da Prometeo fu la speranza, il senso di futuro affidato alle opere del fuoco, alla tecnica. Il pharmakon e il dono del fuoco sono dunque strettamente legati, com’è ovvio. Nel secondo episodio è Prometeo stesso ad illustrare questo nesso con parole giustamente famose: “Essi avevano occhi e non vedevano, avevano le orecchie e non udivano, somigliavano a immagini di sogno, perduravano un tempo lungo e vago, e confuso, ignoravano le case di mattoni, le opere del legno; vivevano sotterra come labili formiche, in grotte fonde, senza il sole”1. Se dunque finisce il (senso di) futuro, finisce tutto ciò che l’uomo ha affidato al fuoco (o che il fuoco ha affidato all’uomo): si spegne il sole, l’uomo torna a condurre sulla terra un’esistenza labile e larvale, priva di consistenza, di durata, dispersa nel tempo e schiacciata dall’ineluttabilità della morte. Ma in che modo può finire il futuro? Non certo nel senso che il tempo cronologicamente inteso si estingua, bensì nel senso dell’esaurimento di possibilità essenziali.
Ho adoperato la traduzione di E. Mandruzzato, in Il teatro greco. Tutte le tragedie, a cura di C. Diano, Sansoni, Firenze 1980. ↩
Adinolfi, Massimo."POSSIBILITÀ, TEMPO, MONDO. Pensieri della fine e dell’inizio a partire da Jacques Derrida". PólemosVI. 4-5. (2011): 169-180https://www.rivistapolemos.it/possibilita-tempo-mondo-pensieri-della-fine-e-dellinizio-a-partire-da-jacques-derrida/?lang=it
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Adinolfi, M.(2011). "POSSIBILITÀ, TEMPO, MONDO. Pensieri della fine e dell’inizio a partire da Jacques Derrida". PólemosVI. (4-5). 169-180https://www.rivistapolemos.it/possibilita-tempo-mondo-pensieri-della-fine-e-dellinizio-a-partire-da-jacques-derrida/?lang=it
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Adinolfi, Massimo.2011. "POSSIBILITÀ, TEMPO, MONDO. Pensieri della fine e dell’inizio a partire da Jacques Derrida". PólemosVI (4-5). Donzelli Editore: 169-180. https://www.rivistapolemos.it/possibilita-tempo-mondo-pensieri-della-fine-e-dellinizio-a-partire-da-jacques-derrida/?lang=it
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TY - JOUR
A1 - Adinolfi, Massimo
PY - 2011
TI - POSSIBILITÀ, TEMPO, MONDO. Pensieri della fine e dell’inizio a partire da Jacques Derrida
JO - Plemos
SN - 9788890413650/2281-9517
AB - Invece di molte parole, a mo’ di introduzione, il Prometeo incatenato. Primo episodio, Kratos e Bia, il Potere e la Violenza, sgherri di Zeus, accompagnano Efesto che porta con sé le catena con cui sarà legato Prometeo. Siamo nella Scizia solitaria, “l’estrema plaga della terra”. Prometeo sconta la pena inflittagli da Zeus, per avere rubato il fuoco agli dei, averlo nascosto nel cavo di una canna e consegnato agli uomini. Invitato dal coro a gridare il suo racconto, a rivelare come “ebbe inizio l’odio degli dei”, Prometeo racconta come Zeus, anche grazie al suo consiglio, si fosse seduto sul trono del padre Crono, e come poi, preso il potere, avesse distribuito i privilegi fra tutti gli dei, escludendo i mortali. “Nessuno gli si oppose, tranne me – è la rivendicazione di Prometeo –. Io l’osai. E liberai i mortali dall’essere dispersi nella morte”. In che modo Prometeo liberò i mortali è detto poco dopo: “Spensi all’uomo la vista della morte”. Il pharmakon distribuito da Prometeo fu la speranza, il senso di futuro affidato alle opere del fuoco, alla tecnica. Il pharmakon e il dono del fuoco sono dunque strettamente legati, com’è ovvio. Nel secondo episodio è Prometeo stesso ad illustrare questo nesso con parole giustamente famose: “Essi avevano occhi e non vedevano, avevano le orecchie e non udivano, somigliavano a immagini di sogno, perduravano un tempo lungo e vago, e confuso, ignoravano le case di mattoni, le opere del legno; vivevano sotterra come labili formiche, in grotte fonde, senza il sole”[1. Ho adoperato la traduzione di E. Mandruzzato, in Il teatro greco. Tutte le tragedie, a cura di C. Diano, Sansoni, Firenze 1980.]. Se dunque finisce il (senso di) futuro, finisce tutto ciò che l’uomo ha affidato al fuoco (o che il fuoco ha affidato all’uomo): si spegne il sole, l’uomo torna a condurre sulla terra un’esistenza labile e larvale, priva di consistenza, di durata, dispersa nel tempo e schiacciata dall’ineluttabilità della morte. Ma in che modo può finire il futuro? Non certo nel senso che il tempo cronologicamente inteso si estingua, bensì nel senso dell’esaurimento di possibilità essenziali.
SE - 4-5/2011
DA - 2011
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