All’interno del suo testo Der Arbeiter. Herrschaft und Gestalt, del 1932, Ernst Jünger teorizza una costitutiva, radicale differenza dell’Arbeiter con il borghese, che si origina a partire dall’ultimo conflitto bellico; il borghese «anche in guerra cercò ogni occasione per adocchiare una possibile trattativa, mentre per il soldato la guerra significava uno spazio in cui avesse valore morire, ossia vivere in modo tale da riaffermare la forma dello Stato: di quello Stato che è destinato a rimanere, anche se gli sottraggono il suo corpo»1. Con ciò squadernando, fin dalle prime pagine, una assoluta evidenza che percorre tutto il libro: se da un lato l’Arbeiter rappresenta, filosoficamente, il portatore di una «forma all’interno di una gerarchia di forme», la quale comporta l’assunzione di «un compito immediato, […] un destino»2– e dunque in ultima analisi si configura come il Träger filosofico di un’istanza squisitamente politica – d’altra parte egli è sempre da intendersi in relazione allo Stato, ovvero alla sua forma incorrotta, destinata a rimanere anche in assenza di corpo, come si premura di sottolineare Jünger. Ma prima di affrontare le tematiche centrali per questo lavoro giova sottolineare l’interesse che l’Arbeiter jüngeriano riveste in termini più generali per un discorso filosofico sul lavoro e sul lavoratore, e più ancora per la sua posizione eccentrica rispetto ai paradigmi dominanti. Lungi dall’essere, infatti, un operaio nel senso marxiano, un rappresentante di una classe sociale storicamente ed economicamente determinata all’interno di un contesto che lo sia altrettanto, l’Arbeiter di Jünger si mostra invece come un precipitato di ideologia metafisica – vale a dire, di metafisica ideologizzata e di ideologia assurta a dimensioni metafisiche; e dunque si potrebbe dire che, se Il capitale di Marx rappresenta il momento fondante di quella “critica dell’economia politica” che costituisce la spina dorsale teoretica della prestazione concettuale marxiana, l’Arbeiter si può interpretare invece come una “critica della metafisica politica”: nel senso che, pur ripercorrendo il gesto marxiano di individuazione di un principio scardinante l’attualità, ne rilegge radicalmente le intenzioni ideologiche, spostandole dal dominio filosofico-economico a quello ontologico-filosofico.
Ciò che dobbiamo cercare non è la neutralità economica, non è l’accortezza di distogliere lo spirito da ogni scontro economico; al contrario, a quegli scontri è necessario dare la massima asprezza. Questo però non accade finché l’economia fissa le regole della battaglia; accade quando una legge superiore, regolando il combattimento, stabilisce anche le norme dell’economia3.
Si badi: sia Marx che Jünger sono consci del fatto che non sia l’economia neutralmente intesa a stabilire le regole del gioco ‘politico’ tra capitale e lavoro salariato – solo che Jünger pone l’accento sul carattere “spirituale” di tali regole, colte nella loro essenza di sovranità spirituale. Chi insomma domina il proprio destino dominerà anche il mondo. Herrschaft und Gestalt è infatti il sottotitolo dell’opera dello scrittore tedesco, Dominio e forma: il lavoratore si presenta cioè con le fattezze tipologiche di una sorta di principio politico trascendente, una forma formarum che trova nel momento del dominio il suo inveramento. In questo senso è – goethianamente – una forma senza tempo dentro il vortice del mutamento storicotemporale.
Una forma è, e nessuna evoluzione la accresce o la diminuisce. Perciò, la storia dell’evoluzione non è la storia della forma, ma tutt’al più il suo commento dinamico. L’evoluzione conosce principio e fine, nascita e morte, da cui la forma è immune. Come la forma dell’uomo era prima della nascita e sarà dopo la morte, così una forma storica è, nel suo nucleo profondo, indipendente dal tempo e dalle circostanze da cui sembra scaturire. […] La storia non produce forme, ma si modifica in virtù della forma. Essa è la tradizione che un potere vittorioso fornisce a se stesso4.
In tal modo è esibito con precisione il ruolo che va assegnato all’Arbeiter: quello di forma fattrice di forme, appunto, Gestalt sottesa dunque ad una metafisica della storia che è, immediatamente e proprio per questo, fattrice di storia. Per questo Jünger sottolinea come la storia sia la tradizione del vincitore – perché, in ultima analisi, chi domina la forma della storia è destinato dunque a dominare anche i vincitori della storia stessa (che in quanto tali sono inseriti nel continuum storico senza poter dargli forma). Nell’accento, autoritario e autorevole ad un tempo, che Jünger dà alla tipologia dell’Arbeiter dominato da una Wille zur Gestalt 5, è stata vista giustamente un’eco nietzschiana, colta però nel momento della sua torsione concettuale operata dalla rilettura di Heidegger, «laddove, notoriamente, si giudica la volontà di potenza un criterio di stabilizzazione del reale all’ombra della fine di qualsiasi valorazione trascendente del mondo»6. In questo senso l’Arbeiter di Ernst Jünger appare come un capitolo particolarmente cruciale di quella storia metafisica del destino tedesco in cui sono coinvolti la filosofia come la produzione ideologica più immediata, la teoria politica come la letteratura.
E. Jünger, L’operaio. Dominio e forma, trad. it. a cura di Q. Principe, Guanda, Parma 1991, p. 37. ↩
Così Jünger intitola un breve contributo che pubblica nel 1929 sulla rivista di Ernst Niekisch «Widerstand», in cui si esplicita proprio la valenza politico-destinale di tale Wille: «ovunque oggi la forma, e cioè l’esser necessariamente così e non poter essere altrimenti della vita, costituisca il fulcro di ogni aspirazione, là si compie un lavoro prezioso per l’elemento tedesco» (E. Jünger, La volontà di dar forma, in Id., Scritti politici e di guerra 1919-1933, vol. III, 1929-1933, trad. it. a cura di A. Iadicicco, LEG, Gorizia 2005, p. 66). ↩
Così Pierandrea Amato nel suo lavoro che costituisce la prima parte di un dittico saggistico concepito insieme a Sandro Gorgone in Tecnica lavoro resistenza. Studi su Ernst Jünger, Mimesis, Milano 2008, p. 47. ↩
Guerra, Gabriele."FILOSOFIA DEL NAZIONALISMO Der Arbeiter di Ernst Jünger nel contesto del suo tempo". PólemosV. 2-3. (2010): 118-131https://www.rivistapolemos.it/filosofia-del-nazionalismo-der-arbeiter-di-ernst-junger-nel-contesto-del-suo-tempo/?lang=it
APA
Guerra, G.(2010). "FILOSOFIA DEL NAZIONALISMO Der Arbeiter di Ernst Jünger nel contesto del suo tempo". PólemosV. (2-3). 118-131https://www.rivistapolemos.it/filosofia-del-nazionalismo-der-arbeiter-di-ernst-junger-nel-contesto-del-suo-tempo/?lang=it
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Guerra, Gabriele.2010. "FILOSOFIA DEL NAZIONALISMO Der Arbeiter di Ernst Jünger nel contesto del suo tempo". PólemosV (2-3). Donzelli Editore: 118-131. https://www.rivistapolemos.it/filosofia-del-nazionalismo-der-arbeiter-di-ernst-junger-nel-contesto-del-suo-tempo/?lang=it
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TY - JOUR
A1 - Guerra, Gabriele
PY - 2010
TI - FILOSOFIA DEL NAZIONALISMO Der Arbeiter di Ernst Jünger nel contesto del suo tempo
JO - Plemos
SN - 8890413611/2281-9517
AB - All’interno del suo testo Der Arbeiter. Herrschaft und Gestalt, del 1932, Ernst Jünger teorizza una costitutiva, radicale differenza dell’Arbeiter con il borghese, che si origina a partire dall’ultimo conflitto bellico; il borghese «anche in guerra cercò ogni occasione per adocchiare una possibile trattativa, mentre per il soldato la guerra significava uno spazio in cui avesse valore morire, ossia vivere in modo tale da riaffermare la forma dello Stato: di quello Stato che è destinato a rimanere, anche se gli sottraggono il suo corpo»[1. E. Jünger, L’operaio. Dominio e forma, trad. it. a cura di Q. Principe, Guanda, Parma 1991, p. 37.]. Con ciò squadernando, fin dalle prime pagine, una assoluta evidenza che percorre tutto il libro: se da un lato l’Arbeiter rappresenta, filosoficamente, il portatore di una «forma all’interno di una gerarchia di forme», la quale comporta l’assunzione di «un compito immediato, […] un destino»[2. Ivi, p. 38.]– e dunque in ultima analisi si configura come il Träger filosofico di un’istanza squisitamente politica – d’altra parte egli è sempre da intendersi in relazione allo Stato, ovvero alla sua forma incorrotta, destinata a rimanere anche in assenza di corpo, come si premura di sottolineare Jünger. Ma prima di affrontare le tematiche centrali per questo lavoro giova sottolineare l’interesse che l’Arbeiter jüngeriano riveste in termini più generali per un discorso filosofico sul lavoro e sul lavoratore, e più ancora per la sua posizione eccentrica rispetto ai paradigmi dominanti. Lungi dall’essere, infatti, un operaio nel senso marxiano, un rappresentante di una classe sociale storicamente ed economicamente determinata all’interno di un contesto che lo sia altrettanto, l’Arbeiter di Jünger si mostra invece come un precipitato di ideologia metafisica – vale a dire, di metafisica ideologizzata e di ideologia assurta a dimensioni metafisiche; e dunque si potrebbe dire che, se Il capitale di Marx rappresenta il momento fondante di quella “critica dell’economia politica” che costituisce la spina dorsale teoretica della prestazione concettuale marxiana, l’Arbeiter si può interpretare invece come una “critica della metafisica politica”: nel senso che, pur ripercorrendo il gesto marxiano di individuazione di un principio scardinante l’attualità, ne rilegge radicalmente le intenzioni ideologiche, spostandole dal dominio filosofico-economico a quello ontologico-filosofico.
Ciò che dobbiamo cercare non è la neutralità economica, non è l’accortezza di distogliere lo spirito da ogni scontro economico; al contrario, a quegli scontri è necessario dare la massima asprezza. Questo però non accade finché l’economia fissa le regole della battaglia; accade quando una legge superiore, regolando il combattimento, stabilisce anche le norme dell’economia[3. Ivi, p. 29 .].
Si badi: sia Marx che Jünger sono consci del fatto che non sia l’economia neutralmente intesa a stabilire le regole del gioco ‘politico’ tra capitale e lavoro salariato – solo che Jünger pone l’accento sul carattere “spirituale” di tali regole, colte nella loro essenza di sovranità spirituale. Chi insomma domina il proprio destino dominerà anche il mondo. Herrschaft und Gestalt è infatti il sottotitolo dell’opera dello scrittore tedesco, Dominio e forma: il lavoratore si presenta cioè con le fattezze tipologiche di una sorta di principio politico trascendente, una forma formarum che trova nel momento del dominio il suo inveramento. In questo senso è – goethianamente – una forma senza tempo dentro il vortice del mutamento storicotemporale.
Una forma è, e nessuna evoluzione la accresce o la diminuisce. Perciò, la storia dell’evoluzione non è la storia della forma, ma tutt’al più il suo commento dinamico. L’evoluzione conosce principio e fine, nascita e morte, da cui la forma è immune. Come la forma dell’uomo era prima della nascita e sarà dopo la morte, così una forma storica è, nel suo nucleo profondo, indipendente dal tempo e dalle circostanze da cui sembra scaturire. […] La storia non produce forme, ma si modifica in virtù della forma. Essa è la tradizione che un potere vittorioso fornisce a se stesso[4. Ivi, p. 75.].
In tal modo è esibito con precisione il ruolo che va assegnato all’Arbeiter: quello di forma fattrice di forme, appunto, Gestalt sottesa dunque ad una metafisica della storia che è, immediatamente e proprio per questo, fattrice di storia. Per questo Jünger sottolinea come la storia sia la tradizione del vincitore – perché, in ultima analisi, chi domina la forma della storia è destinato dunque a dominare anche i vincitori della storia stessa (che in quanto tali sono inseriti nel continuum storico senza poter dargli forma). Nell’accento, autoritario e autorevole ad un tempo, che Jünger dà alla tipologia dell’Arbeiter dominato da una Wille zur Gestalt [5. Così Jünger intitola un breve contributo che pubblica nel 1929 sulla rivista di Ernst Niekisch «Widerstand», in cui si esplicita proprio la valenza politico-destinale di tale Wille: «ovunque oggi la forma, e cioè l’esser necessariamente così e non poter essere altrimenti della vita, costituisca il fulcro di ogni aspirazione, là si compie un lavoro prezioso per l’elemento tedesco» (E. Jünger, La volontà di dar forma, in Id., Scritti politici e di guerra 1919-1933, vol. III, 1929-1933, trad. it. a cura di A. Iadicicco, LEG, Gorizia 2005, p. 66).], è stata vista giustamente un’eco nietzschiana, colta però nel momento della sua torsione concettuale operata dalla rilettura di Heidegger, «laddove, notoriamente, si giudica la volontà di potenza un criterio di stabilizzazione del reale all’ombra della fine di qualsiasi valorazione trascendente del mondo»[6. Così Pierandrea Amato nel suo lavoro che costituisce la prima parte di un dittico saggistico concepito insieme a Sandro Gorgone in Tecnica lavoro resistenza. Studi su Ernst Jünger, Mimesis, Milano 2008, p. 47.]. In questo senso l’Arbeiter di Ernst Jünger appare come un capitolo particolarmente cruciale di quella storia metafisica del destino tedesco in cui sono coinvolti la filosofia come la produzione ideologica più immediata, la teoria politica come la letteratura.
SE - 2-3/2010
DA - 2010
KW - Marx KW - lavoro KW - Ernst Junger
UR - https://www.rivistapolemos.it/filosofia-del-nazionalismo-der-arbeiter-di-ernst-junger-nel-contesto-del-suo-tempo/?lang=it
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author = {Gabriele Guerra},
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Ciò che dobbiamo cercare non è la neutralità economica, non è l’accortezza di distogliere lo spirito da ogni scontro economico; al contrario, a quegli scontri è necessario dare la massima asprezza. Questo però non accade finché l’economia fissa le regole della battaglia; accade quando una legge superiore, regolando il combattimento, stabilisce anche le norme dell’economia[3. Ivi, p. 29 .].
Si badi: sia Marx che Jünger sono consci del fatto che non sia l’economia neutralmente intesa a stabilire le regole del gioco ‘politico’ tra capitale e lavoro salariato – solo che Jünger pone l’accento sul carattere “spirituale” di tali regole, colte nella loro essenza di sovranità spirituale. Chi insomma domina il proprio destino dominerà anche il mondo. Herrschaft und Gestalt è infatti il sottotitolo dell’opera dello scrittore tedesco, Dominio e forma: il lavoratore si presenta cioè con le fattezze tipologiche di una sorta di principio politico trascendente, una forma formarum che trova nel momento del dominio il suo inveramento. In questo senso è – goethianamente – una forma senza tempo dentro il vortice del mutamento storicotemporale.
Una forma è, e nessuna evoluzione la accresce o la diminuisce. Perciò, la storia dell’evoluzione non è la storia della forma, ma tutt’al più il suo commento dinamico. L’evoluzione conosce principio e fine, nascita e morte, da cui la forma è immune. Come la forma dell’uomo era prima della nascita e sarà dopo la morte, così una forma storica è, nel suo nucleo profondo, indipendente dal tempo e dalle circostanze da cui sembra scaturire. […] La storia non produce forme, ma si modifica in virtù della forma. Essa è la tradizione che un potere vittorioso fornisce a se stesso[4. Ivi, p. 75.].
In tal modo è esibito con precisione il ruolo che va assegnato all’Arbeiter: quello di forma fattrice di forme, appunto, Gestalt sottesa dunque ad una metafisica della storia che è, immediatamente e proprio per questo, fattrice di storia. Per questo Jünger sottolinea come la storia sia la tradizione del vincitore – perché, in ultima analisi, chi domina la forma della storia è destinato dunque a dominare anche i vincitori della storia stessa (che in quanto tali sono inseriti nel continuum storico senza poter dargli forma). Nell’accento, autoritario e autorevole ad un tempo, che Jünger dà alla tipologia dell’Arbeiter dominato da una Wille zur Gestalt [5. Così Jünger intitola un breve contributo che pubblica nel 1929 sulla rivista di Ernst Niekisch «Widerstand», in cui si esplicita proprio la valenza politico-destinale di tale Wille: «ovunque oggi la forma, e cioè l’esser necessariamente così e non poter essere altrimenti della vita, costituisca il fulcro di ogni aspirazione, là si compie un lavoro prezioso per l’elemento tedesco» (E. Jünger, La volontà di dar forma, in Id., Scritti politici e di guerra 1919-1933, vol. III, 1929-1933, trad. it. a cura di A. Iadicicco, LEG, Gorizia 2005, p. 66).], è stata vista giustamente un’eco nietzschiana, colta però nel momento della sua torsione concettuale operata dalla rilettura di Heidegger, «laddove, notoriamente, si giudica la volontà di potenza un criterio di stabilizzazione del reale all’ombra della fine di qualsiasi valorazione trascendente del mondo»[6. Così Pierandrea Amato nel suo lavoro che costituisce la prima parte di un dittico saggistico concepito insieme a Sandro Gorgone in Tecnica lavoro resistenza. Studi su Ernst Jünger, Mimesis, Milano 2008, p. 47.]. In questo senso l’Arbeiter di Ernst Jünger appare come un capitolo particolarmente cruciale di quella storia metafisica del destino tedesco in cui sono coinvolti la filosofia come la produzione ideologica più immediata, la teoria politica come la letteratura.}
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