Il 1989 si è impresso come data periodizzante della storia per l’importante significato storico-epocale attribuito alla distruzione di un “muro”, un atto reale che ha acquisito un profondo significato metaforico. Con il Muro abbattuto a colpi di piccone si chiude per molti versi la storia del Novecento, quella che ha avuto inizio nel 1917 e che ha dato forma alla vicenda contrastata e drammatica di quasi un secolo: nelle strutture materiali, nell’ideazione di un mondo nuovo possibile, nell’immaginario di grandi masse. Tramonta, con questa data, la storia del comunismo reale, della più grande filosofia della storia dell’età contemporanea incarnatasi in uno Stato, in un partito e in un’ideologia e, nella nascita di un mondo globale, sembra scomparire l’alternativa al liberalismo e al capitalismo.
Nasce così una forma nuova di interdipendenza mondiale (non a caso ci si riferisce all’idea di mondo globale nella sua forma attuale proprio a partire dal 1989), che sembra provocare un esaurimento della spazialità politica e lascia intravedere un mondo unificato dalla potenza “astratta” del libero movimento dei capitali, dall’unificazione dei mercati finanziari, dalla fine dello spazio-tempo, con una comunicazione che si attua all’istante.
La trasformazione, dentro lo Stato-nazione, della forma capitale nel potere flessibile e impersonale della finanza mondiale ha come ulteriore risultato la formazione di una forza-lavoro dispersa, precarizzata, desoggettivizzata che chiama in causa una riflessione che permetta di individuare oggi il farsi delle classi e le ragioni delle loro lotte politiche nella produzione sociale del capitalismo contemporaneo, con particolare attenzione a quei movimenti dal basso che esprimono un carattere di classe all’interno di forme di soggettivazione diverse dal passato.
In questo scenario l’Europa svolge un ruolo molto delicato: quella che dopo il 1989 avrebbe dovuto essere un’unificazione politica ed economica, un’Unione tra Stati, con al centro l’affermazione dell’universalismo dei diritti dell’uomo, pare spesso arenarsi in una rigida contrapposizione tra una dimensione sovranazionale e pseudofederale (con un federalismo solo monetario) e l’indirizzo politico che ancora vive nei confini degli stati nazionali, chiamando in causa urgentemente un ripensamento del concetto di democrazia e di sovranità. Infatti, la sovranità statuale, che aveva caratterizzato il sistema politico novecentesco, appare ora indebolita di fronte ai mutamenti globali, ai flussi di merci, capitali e persone, non riuscendo a ricomprenderli e governarli entro i suoi confini.
Un tale scenario comporta, inoltre, la necessità di misurarsi oggi con il fenomeno delle migrazioni, con una vera e propria dislocazione dell’umanità, con masse sterminate che fuggono da eccidi, fame, guerre. Tutto ormai alle soglie di un’Europa che non è in grado di gestire questi cambiamenti, lasciando che i populismi rispondano al suo posto, innalzando muri e ricostruendo frontiere.
Lo scopo di questo numero della rivista Polemos L’Europa dopo il muro. Quale fine e quale inizio? non è solo tematizzare e problematizzare filosoficamente questo passaggio di secolo ma, soprattutto, porre al centro della riflessione l’Europa, la configurazione che essa ha assunto dopo l’89 e il suo destino nel nuovo mondo globale, facendo particolare attenzione ad alcuni nuclei tematici, fondamentali per comprendere i cambiamenti epocali generati da quell’anno:
- Il crollo del muro di Berlino e la crisi dello Stato-nazione come eventi simbolo della fine del Novecento europeo.
- Globalizzazione e sovranità: dalla governance transnazionale alla geopolitica dei vaccini anti-Covid 19, quale esempio di una nuova forma di “guerra fredda”.
- La dissoluzione del muro e la fine dell’alternativa comunista nel biennio ’89-’91. L’esaurimento delle fenomenologie più tradizionali e “novecentesche” della lotta di classe e la sua riconfigurazione in Europa.
- Il passaggio dal muro ai muri: i fenomeni migratori e le nuove forme di nazionalismo oggi in Europa.
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