Abstract
La rappresentazione cartografica ha negli ultimi anni attratto attenzioni crescenti e diversificate che vanno inquadrate nel rinnovato interesse che le scienze sociali hanno rivolto alla spazialità e alla visualità. I geografi sono stati, ovviamente, tra i protagonisti di questa profonda operazione di revisione epistemologica. Nel ripensarne i fondamenti sono stati guidati, in particolare, dalla felice collocazione della carta all’incrocio strategico tra il piano della realtà geografica e quello dell’immaginario spaziale.
L’articolo si interroga sul ruolo della carta geografica nel rapporto tra questi due piani, sulle forme di potere che essa subisce e su quelle che esercita. Lo fa a partire da una vicenda storica tratta dall’Italia fascista che non era mai emersa in precedenza: la rappresentazione dei confini dell’Etiopia, progressivamente eliminati dai prodotti cartografici ben prima della conquista italiana.
Le categorie analitiche da cui muove la riflessione sono tratte dal pensiero di Brian Harley su ispirazioni di Derrida e Foucault. Tuttavia, le conclusioni a cui l’articolo giunge si allontanano dal decostruzionismo harleyano per elaborare considerazioni originali in merito alla natura argomentativa e al valore performativo della carta geografica.