La globalizzazione neoliberale e la sua crisi

A cura di Fulvia Giachetti e Giulio Azzolini

Numero 2, 2023, Dicembre
ISBN: 9788855226400 | Anno IV

Nota dei curatori

Fulvia Giachetti e Giulio Azzolini , Nota dei curatori

Archivio

Contatti

info » redazione[at]rivistapolemos.it
call for paper » cfp[at]rivistapolemos.it

call for paper

Pólemos no. 1 2024: Architettura, emozioni, empatia

Architettura, emozioni, empatia,

a cura di Paola Gregory e Giuliana Scotto

Percezione

Sperimentare (come anche conoscere) l’architettura assume un  doppio significato e implica modalità più complesse rispetto ad altre arti o pratiche umane. Da un lato, possiamo avvalerci del potere pervasivo delle immagini (stampe, fotografie, filmati) che ci consentono di avere una qualche percezione dell’architettura, di “farcene un’idea”. Dall’altro lato, abbiamo l’esperienza in loco, dove il nostro corpo viene investito completamente, sempre coinvolgendo più sensi – non solo la vista, l’udito, l’olfatto, il tatto e, se volessimo, anche il gusto – ma anche la propriocezione, il sistema vestibolare e somatosensoriale, secondo una modalità multisensoriale e sinestetica, non semplicisticamente riconducibile a una sommatoria di sensi in rapporto a una loro schematica distinzione. Quando abitiamo uno spazio, vi entriamo con il nostro corpo vivo mettendo in gioco l’intera nostra percezione ed esperienza: l’opera ci avvolge e ne ricaviamo un effetto che di volta in volta può essere di entusiasmo, di stupore, di smarrimento o paura, persino di disgusto.

Neuroscienze

Le strade percorse dai più recenti studi di neuroscienze in generale e neurofisiologia in particolare consentono di aprire nuove possibilità di progettazione, interpretazione e rilettura dell’architettura. Proprio alla luce dei traguardi neuroscientifici non si può non tener conto delle conseguenze che l’architettura esercita sugli individui in senso affettivo, cioè nel modo in cui gli esseri umani vengono colpiti, coinvolti, irretiti, emozionati dagli spazi creati o riconfigurati da parte umana. La neurofisiologia ci aiuta a comprendere come questo rapporto non si annidi in un piano “razionale” o di “piena coscienza” o di “astrazione”. Al contrario, si tratta di un “corpo a corpo”, fra ineludibile materialità dell’architettura e corpo vivente che la esperisce, dove a emergere sono in primis emozioni, ricordi, suggestioni, empatia e identificazione. Il rapporto con l’architettura si innesta su un livello di irriflessione, precedente l’attività pienamente cosciente, poiché l’architettura arriva a toccare l’individuo attraverso il manifestarsi dei fenomeni stessi, senza il filtro o la mediazione delle facoltà razionali. Si mantiene perciò uno scarto di imprevedibilità, dovuto alla singolarità dotata di un sentire proprio che può o meno coincidere con l’effetto che il progetto intendeva suggerire: in tal senso, può aprirsi una possibilità di negoziazione fra chi crea l’opera architettonica e chi la fruisce.

Architettura e socialità

Dato poi che l’architettura, forse più di altre arti, si innesta molto profondamente nella dimensione sociale, si pone la questione delle possibili interrelazioni personali negli spazi che essa crea ovvero contribuisce a creare. Nel caso delle altre arti, l’opera viene molto spesso museificata, protetta, sottratta al lavorio del tempo, riservata a spazi e tempi di fruizione separati dalla quotidianità, tenuta lontana da mani, luci e temperature che potrebbero danneggiarla e comprometterne la durata. Invece l’opera architettonica si confronta costantemente con il logoramento imposto dall’ambiente in cui si trova immersa ed è destinata ad essere attraversata dalla presenza e compresenza umana. Molte tipologie di edifici addirittura invitano alla socialità, la promuovono, la valorizzano. La compresenza di vite e corpi si traduce per l’architettura in un’importanza specifica dell’elemento temporale, come qualcosa che trasforma l’opera per il fatto di essere esposta agli esseri umani, che vi entrano e vi escono, la calpestano, la decorano, la illuminano, la modificano per “starci meglio”, la usano per svolgervi attività diverse anche rispetto al progetto originario, entrando in una relazione nuova, talvolta più consapevole, con lo spazio in cui si trovano. Il fattore tempo può incidere in maniera inaspettata rispetto al progetto ovvero alla sua mancanza, suggerendo così come gli stessi esseri umani, accedendo nello spazio architettonico oppure allontanandosene, o ancora permanendo al suo interno, contribuiscano a conformarlo, configurarlo e riconfigurarlo incessantemente.

Questo volume di Pólemos. Materiali di filosofia e critica sociale intende riflettere sull’architettura in modo da mettere in evidenza la complessità degli aspetti appena accennati, non da ultimo per cogliere implicazioni inedite dell’opera architettonica considerata dal punto di vista estetico.

Istruzioni per l’invio:

Spedire gli articoli già completi e redatti seguendo le norme redazionali della Rivista, accompagnati da un abstract di 1000 caratteri (in italiano e in inglese), all’indirizzo e-mail cfp@rivistapolemos.it e a giuliana.scotto@unive.it entro il 31 maggio 2024. Inviare cortesemente articoli e abstract (in uno dei seguenti formati: .doc, .docx, .odt) in un unico documento per un limite massimo – abstract+paper – di 40.000 caratteri (spazi inclusi) che sia adatto alla revisione anonima. Sono particolarmente graditi contributi direttamente pertinenti alle linee di ricerca suggerite. Articoli concernenti aree connesse al tema saranno ugualmente presi in considerazione. Sono accettati contributi in italiano, inglese, francese, tedesco e spagnolo.

Testo pdf Pólemos no. 1, 2024 – Call for papers Architettura, emozioni, empatia

Vedi POLEMOS_Norme editoriali_v.5 (1)